Octavi, l'operaio estratto dopo 10 ore dalle macerie della Torre dei Conti a Roma, non ce l'ha fatta. Senza saperlo, la nostra vita è precaria come la sua
Non ce l’ha fatta, il povero Octavi. Sembra un triste gioco del destino chiamarsi Octavi, un nome che ricorda “Ottaviano”, come il grande imperatore, venire dalla Romania che è stata una delle ultime conquiste dei Romani e trovarsi intrappolati sotto le macerie di un manufatto medievale a pochi metri dai Fori imperiali. L’operaio edile rumeno è stato appena estratto vivo dalle macerie di sassi e travi che reggevano la Torre dei Conti in fase di restauro, dopo esservi rimasto sotto una decina di ore. Ma le sue condizioni erano gravissime, e non è bastato portarlo al Policlinico Umberto I dopo avergli fatto un massaggio cardiaco in ambulanza.
Subito la memoria è andata ai tanti terremoti che in giro per il mondo hanno seppellito vive intere popolazioni e di cui l’Italia, “terra ballerina” per eccellenza, è testimone autorevole.
I casi sono diversi (là sono eventi naturali, qui sono causati da incuria, abbandono, forse lavori nell’edificio a fianco, bene ancora non si sa, forse tutto l’insieme), ma la sofferenza è uguale. Come si dev’essere sentito Octavi, costretto dentro una gabbia dal peso enorme, impossibilitato a muoversi, vivo per miracolo mentre da un pertugio arriva quel poco d’aria che permette di respirare, aggrappato alle voci di soccorritori che spronano a resistere perché stanno spostando sasso dopo sasso, ma anche loro sotto la spada di Damocle di un crollo improvviso ed imprevedibile.
Non sappiamo cosa possa passare dalla mente di chi è là sotto, magari ferito, di sicuro in bilico tra speranza e paura. Octavi certamente ha pensato alla sua famiglia (la moglie era là fuori, sostenuta in quell’altro calvario a cielo aperto dal personale dell’ambasciata e da psicologi), probabilmente ha alternato momenti di sconforto ad altri di fiducia, ha allontanato il pensiero della morte che, invece, gli è stata proprio di fronte.
Forse ha pregato, e allora è stato costretto a fare i conti col tempo che scorre, con quello che è stato, con quello che potrebbe essere fra un minuto, un’ora, un giorno. La vita appesa a un filo, la precarietà dell’uomo cui solo un significato “oltre” può dare senso. E alla fine un Destino buono lo accolto con sé, in un abbraccio infinitamente più dolce di quello della Torre dei Conti.
L’esistenza di Octavian in equilibrio instabile tra vita e morte è, portata all’estremo, l’esistenza di tutti e di ciascuno. “Operazioni complesse e pericolose” hanno ammesso autorità capitoline e Vigili del fuoco. Mestiere difficile quello di chi, identificato già nel nome con le fiamme di un incendio, si trova poi a che fare con situazioni come queste. Crollo delle Torri Gemelle docet.
La realtà è che una vita, una sola, vale più di tutto, di tutte le Torri dei Conti, i Fori imperiali e di tutto il Colosseo. Ora non c’è tempo per pensarci. Come non ce ne può essere per pensare all’ignobile attacco sferrato dalla portavoce del ministero degli Esteri russo che ha parlato di soldi spesi “inutilmente” a sostegno dell’Ucraina mentre a suo dire “l’Italia crolla”. A Octavi, di questo, ora importa molto poco. E anche a noi.
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