L’operazione annunciata ieri mattina da Mediobanca – Offerta pubblica di scambio sull’intero capitale di Banca Generali con l’utilizzo delle azioni Assicurazioni Generali di proprietà dell’istituto di piazzetta Cuccia – non ha colto di sorpresa mercati e osservatori. Come ha ricordato l’Amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, un riassetto del perimetro comprendente in filiera le tre istituzioni quotate era allo studio da tempo: e il mercato stesso ha sempre tenuto come ipotesi principale che l’interesse di piazzetta Cuccia fosse focalizzato su Banca Generali.
Quest’ultima è da sempre la business area direttamente confinante con le iniziative di wealth management che hanno progressivamente dato sostanza al riposizionamento strategico della banca d’affari milanese: che oggi espone il brand Mediobanca Premier nella sua ricerca di leadership nel mercato dei servizi finanziari a privati, soprattutto nel segmento “affluent”.
È evidente come il dossier di studio abbia acquisito nelle ultime settimane una valenza nuova e più forte come opzione reattiva di Mediobanca all’Ops lanciata da Mps. Quest’ultima – com’è noto – ha agito sotto la spinta dei nuovi soci privati, i gruppi Caltagirone e Delfin: gli stessi che cingono d’assedio da anni sia Mediobanca che le Generali.
Benché Nagel abbia voluto spegnere le suggestioni sull’Ops Banca Generali in chiave di “difesa” di Mediobanca, è innegabile che piazzetta Cuccia sia riuscita a confezionare – anche sul filo della “passivity rule” imposta dall’offerta Mps in fase di partenza – una risposta di ingegneria finanziaria utile al recupero di spazi di manovra: per tutelare la propria indipendenza attraverso un potenziamento del masterplan strategico. Ma quali saranno, d’altronde, gli impatti della mossa Mediobanca sulle Generali?
Il Leone – a operazione conclusa con successo, non comunque prima dell’autunno – si ritroverà sulla carta privo del suo storico azionista di riferimento: quello che ancora pochi giorni fa – all’assemblea annuale di Trieste – ha condotto alla riconferma il presidente Andrea Sironi e il Ceo Philippe Donnet, assieme alla maggioranza del Cda.
L’affermazione è stata resa possibile dalla credibilità dei risultati e dei piani strategici presentati da Donnet, rieletto per un quarto mandato triennale anzitutto dai grandi investitori istituzionali. I grandi azionisti finanziari italiani (Caltagirone e Delfin) hanno invece raccolto uno “score” assembleare nettamente inferiore, nonostante il supporto finale di UniCredit.
È questo esito netto – e maturato da pochissimi giorni – a disegnare per le Generali di Donnet un futuro all’insegna di una sfida definitiva: quella dell’autonomia integrale di una public company in realtà tale da mezzo secolo (Mediobanca e Lazard hanno sempre valorizzato al massimo la scuola dirigenziale interna di Trieste, dalla quale proviene del resto anche l’attuale Ceo). E la crescita del rapporto fra un il manager e il “suo” mercato si annuncia tutt’altro che ordinaria.
L’operazione impostata da Mediobanca porterà le Generali a controllare nel proprio attivo un consistente pacchetto di azioni proprie. Un’altra porzione rilevante dell’attuale partecipazione di controllo relativo della banca sulla compagnia è invece atteso a un collocamento diretto sul mercato da parte di Mediobanca. Nagel e Donnet si sono quindi riservati le condizioni di poter orientare ingressi importanti (finanziari o industriali) nel grande azionariato delle Generali. Un atout in più, laddove Donnet ha confermato di voler portare a compimento il progetto di partnership strategica nell’asset management con il colosso francese Natixis.
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