ORECCHIETTE ILLEGALI/ A Bari Vecchia, tra fisco e massaie meglio il buon senso…

- Maurizio Vitali

Il “New York Times” ha dedicato l’apertura dell’edizione internazionale alle massaie che fanno le orecchiette a Bari Vecchia. Certo, meno evasione fiscale c’è e meglio è

orecchiette bari newyorktimes 1280 640x300 Screenshot dell'edizione online del NYT

Puglia. A Taranto chiude l’altoforno 2 dell’ex Ilva, cassa integrazione straordinaria per 3.500 lavoratori dell’acciaieria. A Bari Vecchia sequestrati in un ristorante dalla forze dell’ordine chilogrammi tre di orecchiette. L’edizione internazionale del New York Times vi dedica l’apertura della prima pagina. Alle orecchiette.

L’operazione “strascinati”, denominazione locale delle orecchiette (per la pronuncia rivolgersi a Lino Banfi) si è svolta il 20 novembre. Una pattuglia di agenti in visita di controllo al ristorante Vattelapesca per l’utilizzo di spazio pubblico, si avvedeva (l’uso dell’imperfetto è d’obbligo in questi casi) della presenza di una busta priva di etichetta contenente chilogrammi tre di orecchiette e provvedeva pertanto ai sensi delle vigenti disposizioni all’immediato e irrevocabile sequestro della predetta busta.

Io li conosco questi interventi fulminei tesi al sequestro immediato e irreversibile del corpo del reato. Ricordo le sirene spiegate delle due pantere in viale Piave a Milano, un bel po’ di anni fa (Salvini non era neanche in politica), lo scatto alla Verstappen e l’inchiodata a un metro dal lavavetri marocchino, cui veniva prontamente ingiunto di consegnare la spazzola di spugna montata su moncone di manico di scopa. La spazzola veniva chiusa autoritariamente nel bagagliaio di una pantera, e via sgommando.

Allora il New York Times prese un buco, cioè non parlò dell’episodio. Probabilmente non c’era ancora a capo della sua redazione romana Jason Horowitz, autore del reportage sulle orecchiette illegali intitolato “Chiamatelo crimine della pasta”.

Dietro i tre chili di orecchiette senza etichetta c’è tutto un piccolo mondo antico, popolato di case-bottega dove le donne locali rinnovano l’antica tradizione gastronomica e la rivendono a 5 euro al chilo a clienti prevalentemente croceristi in cerca di sopravvivenze folkloriche, in fondo meglio le orecchiette che le zanne di elefante, meglio s’intende per il futuro dell’ecosistema. Oltre ai croceristi neo-coloniali (gente che ingaggerebbe il comandante Schettino per buttar giù il Mose con una manovra decisa), capitano anche i politici. Probabilmente a loro il pacco di pasta glielo regalano, e così il problema della tracciabilità non si pone, e nemmeno quello dello scontrino. Questa è la terza repubblica, mica come la prima quando i politici del Sud erano loro a regalare la pasta, sotto elezioni; adesso sono i cittadini a regalare la pasta ai loro rappresentanti, eletti nell’urna o su Rousseau è lo stesso.

Le donne baresi – che in questi casi i giornali chiamano massaie, termine pacioccoso che favorisce un atteggiamento favorevole e assolutorio – di mettersi in regola non ne vogliono sapere, perché, dicono, si distruggerebbe una tradizione, quella delle orecchiette, che andrebbe fatta studiare a scuola; fare etichette, garantire la tracciabilità, emettere scontrini, vorrebbe dire far pagare le orecchiette dieci euro al chilo, e questo non si può e non si deve, né ora né mai.

Chi ha ragione tra i due contendenti? Hanno torto tutti e tre.

Hanno torto i regolamenti e leggi, quando sono troppo rigidi, complicati, burocratici.

Hanno torto le massaie, perché non si capisce perché le lasagne delle sorelle Rigamonti, o gli agnolotti di Monsù Roero, o la piada della Desolina debbano essere tracciabili e tassabili, e gli strascinati no.

Ha torto anche il New York Times a ridipingere a tinte pastello il vecchio cliché dell’Italia mafia spaghetti e mandolino. Tra parentesi, Horowitz è quello che fece lo “scoop” del curriculum taroccato di Giuseppe Conte: scoop tra virgolette, perché in realtà aveva molto montato lui la panna. Non c’è più il giornalismo anglosassone di una volta.

Qualche amministratore locale ha invocato il buon senso. Ecco. Santa parola. Che vuol dire avviare processi che tengano conto di tutti i fattori, senza che uno prevalga come ammazzando l’altro: la tradizione che straccia gli scontrini; la legalità che distrugge la pasta, ecc.

Occorre un tempo e un percorso e collaborazioni convergenti perché le cose prendano la giusta piega. Se no ci si sbudella, come da trent’anni, anche per un chilo di pasta fatta in casa a Bari Vecchia o una spazzola da lavavetri al semaforo. 





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