È finalmente cominciato il 75° Festival di Sanremo 2025, ed eccoci puntuali con le pagelle e i voti della prima serata. Il primo del post-Amadeus, un compito parecchio scomodo che, però, Carlo Conti porta a casa con consumato mestiere, avendo già diretto e condotto tre edizioni. Un festival che parte nel segno di una tradizione, non proprio una restaurazione, ma un ritorno a suoni più lenti, a canzoni più pop e meno dance o trap, a canzoni da cantare più che da ballare.
Si parte male con la sigla di Gabry Ponte, uno che, nel 2003, aveva portato Sanremo piuttosto in basso con gli Eiffel 65, che è un insulto alle nostre orecchie, ma poi la voglia di riconnettersi al passato recente emerge in modo giusto dal ricordo di Ezio Bosso e di Fabrizio Frizzi.
Prima delle nostre pagelle Sanremo 2025, un “voto” ai conduttori della serata. Ad affiancare Conti ci sono un Gerry Scotti in formissima, per la prima volta con la cravatta, che si candida alla conduzione se mai Sanremo – come si vocifera – dovesse finire in altre mani mediatiche, mentre Antonella Clerici si intabarra in abiti punitivi, che la strizzano in strass dorati e argentati. I tre hanno presentato, con rari cedimenti di ritmo (la regia di Pagnussat tenta anche dei tocchi arditi nella messa in scena e nella ripresa delle canzoni), le 29 canzoni in gara, inframezzate dal lungo show di Jovanotti, che comincia per strada con centinaia di percussionisti e strumentisti, quelli di Rockin’ 1000, e dà uno spettacolo superiore con un medley che parte da L’ombelico del mondo e arriva a Per te.
Durante la chiacchiera con Conti, poi, mostra una verve un po’ alla Benigni, prima di invitare Gianmarco Tamberi a recitare una poesia che funga da lancio al suo nuovo disco, da cui canta Un mondo a parte insieme a Dardust al pianoforte; e poi dall’israeliana Noa e dalla palestinese Mia Arwad, che cantano una versione intensa e pop di Imagine di John Lennon in inglese, arabo e israeliano, inneggiando alla pace e alla necessità che gli artisti testimonino la loro posizione contro i conflitti, introdotti dal Papa, che legge un testo contro la guerra e a favore dei bambini.
A votare le canzoni in gara oggi ci ha pensato la Sala Stampa, che ha decretato una classifica Sanremo 2025 provvisoria in cui emergono – in ordine sparso – Achille Lauro, Brunori SAS, Lucio Corsi, Simone Cristicchi e Giorgia; nei prossimi giorni, invece, voteranno gli spettatori col televoto e le radio. Ma ora ecco le nostre pagelle Sanremo 2025 sui cantanti in gara nella prima serata.
Le pagelle Festival di Sanremo 2025, prima serata:
Gaia (Chiamo io chiami tu)
Il corpo di ballo esalta la sensualità del brano latineggiante, richiamato anche dal testo in cui dice di amare la sua nudità. Abito color carne che la fascia, si muove meno dei suoi ballerini, per un attimo fa sentire che saprebbe cantare, ma poi cede al ritmo da spiaggia e al doppio clap delle mani. 5,5
Francesco Gabbani (Viva la vita)
Canzone da falò mescolata con una specie di soul e un accorto uso dell’orchestra. Lui sa di piacere, ma la canzone pare affrettata e il modo in cui gesticola è fastidioso. 6
Rkomi (Il ritmo delle cose)
Giacca bianca su petto nudo, fisico da combattente di strada su viso da caratterista per dare peso a una canzone che peso non ne ha. E dal vivo, le ambizioni del testo non reggono all’interpretazione. 5
Noemi (Se t’innamori muori)
Pezzo classico, nell’accezione che al termine possono dare Blanco e Mahmood – autori del brano – anche nell’abito nero con velo bianco. La voce si è un po’ inasprita, ma l’interpretazione vale il primo brividino della serata. 7
Irama (Lentamente)
Palandrana da generale napoleonico queer, porta la versione bis del suo pezzo dell’anno scorso, anche nel gioco lezioso con l’orchestra. Il suo vocione stanca, manco fosse Pappalardo, in un pezzo adolescenziale spento. 5
Coma_Cose (Cuoricini)
Ritmo e melodia trascinanti, infantili con intelligenza. Lei ha problemi con lo strascico dell’abito stile Sposa cadavere, ma non impedisce di portare la platea a battere le mani e la sala stampa ad applaudire. 7
Simone Cristicchi (Quando sarai piccola)
Le imperfezioni vocali aiutano a portare l’emozione di un testo simile, che vale molto più della melodia, a dire il vero un po’ pigra. Peccato per l’enfasi tronfia – colpa dell’orchestra – dello special prima del finale. 6
Marcella Bella (Pelle diamante)
In nero come 40 anni fa, operazione che fa rimpiangere il peggio di Berté, a cui si ispira pesantemente nel testo. Ma il concetto di farsi forzatamente vedere come “giovane” è discutibile, e siamo dalle parti dello scult, specie per il balletto. 5
Achille Lauro (Incoscienti giovani)
In frac come Fred Astaire, occhio di bue su palco buio, pezzo rétro che pare uscito da Baglioni negli anni ’70, con in più il maledettismo del cantante. Una Tango di Tananai che non ce l’ha fatta, ma piace, con il sax finale, in odor di Venditti, che dà un tocco imprevisto. 6+
Giorgia (La cura per me)
Nel conclave sanremese parte da papessa, elegante, discreta, un po’ velata, ha l’inizio giusto per puntare alla vittoria, ma sembra che senta il dovere di vincere, a trent’anni dal suo trionfo con Come saprei. Le mette i bastoni tra le ruote l’arrangiamento, che rovina e spegne la voce, che nel frattempo vocalizza senza freno. La classe la udirebbe anche un sordo, ma anche meno. Applausi a scena aperta, noi continuiamo a nutrire qualche dubbio. 6+
Willie Peyote (Grazie ma no grazie)
Programmata per essere un tormentone semi-intellettuale, satirica, ma suona un po’ stanca, tra citazioni di Bee Gees e Articolo 31 e ricordi di Silvestri, accenni al politicamente corretto e a chi lo critica. Le coriste sono la cosa migliore di un’occasione un po’ sprecata. 6+
Rose Villain (Fuorilegge)
Statuaria, fasciata di rosso, con uno spettatore che grevemente le fa notare la sua bellezza, cerca di ripetere l’exploit di Click Boom. Il mix tra house a palla e melodia funziona meno bene, con il gospel che c’entra come i cavoli a merenda, ma lei ha fiducia in sé e tiene bene il palco. 6,5
Olly (Balorda nostalgia)
Anche lui in zona Tananai, specie per il percorso che, dai bassifondi della classifica nel ’23, potrebbe portarlo sul podio, se non più alto. Musicalmente, invece, è una ballatona alla Ultimo, urlata per lo stadio, con abbigliamento da finto Brando e muscoli in evidenza: insomma, buono per piacere a tutti i pubblici. 6+
Elodie (Dimenticarsi alle 7)
Abito di carta stagnola, un po’ astronauta, un po’ orata al forno, ha il pezzo più debole di tutte le sue partecipazioni al festival e la performance, scenica e vocale, è davvero sottotono (tacciamo della melodia del ritornello che ruba sfrontata a Battisti). Il dancefloor e l’Ariston sono due cose diverse. Forse. 5
Shablo feat. Guè, Joshua e Tormento (La mia parola)
Fanno la loro cosa nella casa, come direbbe Frankie Hi-NRG, e la fanno bene. Coro afroamericano, formazione da clan e brano old style riuscito e parecchio cool. Nessuna novità, ma in certi casi nessuna nuova, buona nuova. Magari arriveranno ultimi, ma se la giocano bene. 7
Massimo Ranieri (Tra le mani un cuore)
Brano puramente TizianoFerrese, nella musica, che Ranieri, da grande maestro, adatta al suo tono teatrale, e nelle parole. Gran ritornello che, saggiamente, il sax replica nel pre-finale. 7
Tony Effe (Damme ‘na mano)
L’operazione pulizia morale si completa con il completo bianco da prima comunione con guanti vinaccia. Ma lui pare catatonico, come il brano che porta in gara: e se l’autotune si scarica, anche le lezioni di canto possono poco. Sul testo sarebbe meglio stendere un velo pietoso. 4
Serena Brancale (Anema e core)
Percussioni e tastiera in mezzo al palco, come Tony Esposito o Tullio De Piscopo, energia street e anima raffinata nascosta dai ritmi. Gran carisma e poi, portando la sorella sul podio dell’orchestra, si fa dirigere dall’unico maestro donna di questa edizione. 7+
Brunori SAS (L’albero delle noci)
La differenza tra lui e Cristicchi sta nel tono, nella leggerezza, nella capacità di emozionare senza volerti far piangere a tutti i costi. A suo modo, un esempio di come giocare in trasferta e non concedere nulla, anche grazie al testo migliore del festival. 7,5
Modà (Non ti dimentico)
Salvo dopo la caduta di ieri, Kekko si presenta con occhiali neri fuori luogo, mescolano, come sempre, Negramaro e Pooh, ma, come sempre, restano un passo dietro. Ci resta anche il brano, che pare uscito da uno scarto del 2004. 5+
Clara (Febbre)
Kekko cita Kandinskij, lei Yves Klein e il suo blu. Arte moderna a parte, porta un clone di Diamanti grezzi, ma efficace, ben prodotto e ben interpretato. 6
Lucio Corsi (Volevo essere un duro)
Un po’ Bowie e un po’ Camerini nel look, parte al pianoforte e poi imbraccia la chitarra, con un pezzo bello, ironico, leggero e toccante. Gestisce benissimo l’orchestra, i suoi crescendo e le armonie; e poi, l’unica canzone con un assolo di chitarra merita un premio. La sala stampa applaude convinta. 7,5
Fedez (Battito)
Difficile separare ciò che gli capita nella vita, ciò che si muove attorno a lui dalla canzone, ma lui – furbo o intelligente? – interpreta tutto con disperazione che pare sincera, cavalca la drammaticità del pezzo, sembra quasi in lacrime, ma con quelle lenti nere non si vede. 7-
Bresh (La tana del granchio)
Look alla Lou Reed, ma poi la solita cantilena con la chitarra in 6/8 e il ritornello aperto e le barre più veloci. L’unica idea buona è il titolo e l’immagine dei costumi bagnati lasciati in macchina fino a ottobre. 5
Sarah Toscano (Amarcord)
Si sente che dietro ci sono gli autori di Annalisa, però il ritmo troppo veloce la mette in affanno. Però il gioco melodico delle scale non sbaglia mai. 6,5
Joan Thiele (Eco)
Chitarra western piena di riverbero, suoni anglosassoni da ospite internazionale più che da Big in gara. Lei è parecchio tesa, ma immaginiamo che questo sia un pezzo che abbia bisogno di vari ascolti. Peccato che la citazione di Back to Black di Amy Winehouse sia un po’ troppo sfacciata. 6,5
Rocco Hunt (Mille vote ancora)
Cerca di rifarsi una verginità artistica tornando al passato, ma non si può fare una canzone di mandolini, caffè e nostalgia mentre decine di artisti napoletani lottano per abbattere la rappresentazione stereotipata di Napoli. E poi, con quel testo paternalista e il look da concorrente di Ora o mai più, non è molto credibile. 5
Francesca Michielin (Fango in paradiso)
Dopo la caviglia infortunata, le si stacca l’auricolare. Però, rispetto al passato e a molti dei cantanti in gara, usa anche il corpo e l’espressività per comunicare, cercando anche di prendersi il palco, nei limiti della regia televisiva. Un pezzo classico e riuscito. 7-
The Kolors (Tu con chi fai l’amore)
Chiudono in ritmo, una canzone in cui cercano di immettere la loro voglia e capacità di suonare nella galera della canzone estiva che ormai li affligge. Gli omaggi si sprecano, tra Carrà e Amanda Lear, però da loro vorremmo anche altro. 6