L’immagine, potentissima, di Donald Trump e Volodymyr Zelensky seduti uno di fronte all’altro nella Basilica di San Pietro evoca già da sola, al di là delle parole che si sono scambiati il presidente USA e quello dell’Ucraina, il senso del dialogo, del confronto personale. E il fatto che l’occasione per un incontro del genere siano state proprio le esequie di Papa Francesco richiama per forza di cose tutte le occasioni in cui il Pontefice si è speso proprio per invitare i Paesi in guerra a parlarsi, ad ascoltarsi.
Non dobbiamo precludere le possibilità al dialogo, osserva Vincenzo Buonomo, professore di diritto internazionale all’Università Lateranense, anche quelle che nascono da queste come altre situazioni. Gli accordi di Helsinki, di cui in agosto celebreremo i 50 anni, sono nati grazie al tè degli ambasciatori: i diplomatici si ritrovavano ogni volta in una sede diversa a bere il tè e da lì è partito il confronto che ha portato all’intesa finale.
Al funerale del Papa della Fratelli tutti, fautore del dialogo a livello internazionale, i leader della Terra si sono incontrati e hanno parlato tra di loro. Una situazione sintetizzata dall’immagine di Zelensky e Trump uno davanti all’altro. Come possiamo interpretarla?
Mi chiedo se non sia stato l’ultimo dono che ci ha fatto Papa Francesco, tenendo conto anche di quelli che potrebbero essere gli effetti di questi incontri. Alla fine, non sappiamo cosa effettivamente si sono detti i capi di Stato e in che termini, non c’è stato nessun comunicato che abbia ufficializzato il contenuto degli incontri. Ho appena visto delle foto sulla BBC in cui compaiono Macron, Starmer, Trump e Zelensky, ma nessuno ha riferito che cosa si sono detti. Possiamo solo dire che Papa Francesco anche nel suo ultimo viaggio, nell’ultima esposizione pubblica, ha creato l’occasione per poter avviare un dialogo, o quantomeno di proseguire un negoziato già avviato.
Il fatto che non ci sia stata una versione ufficiale dei colloqui può voler dire che la trama del dialogo debba essere tessuta anche al di là delle manifestazioni pubbliche?
Sono del parere che il negoziato, quando diventa pubblico, non è più negoziato. Ce lo dicevano i grandi negoziatori: se una trattativa diventa pubblica manca quel lavoro fatto di gradualità che tiene conto delle diverse posizioni. Esporsi pubblicamente vuol dire anche essere sottoposti alle prime valutazioni, mentre un negoziato deve giungere a un effetto conclusivo per poi poter essere valutato.
Il presidente tedesco Steinmeier ha detto che dalla “diplomazia funebre” non c’è da aspettarsi troppo. I Capi di Stato che discutono hanno solo un valore simbolico o si può sperare che qualcosa dell’insegnamento del Pontefice sia rimasto?
Francesco ci ha abituati a un’idea di negoziato basato su due elementi: gli artigiani della pace e l’architettura della pace. Per realizzare l’architettura della pace tutti, come artigiani, siamo chiamati a concorrere, nelle forme che riteniamo più opportune. Perché l’architetto fa i grandi progetti, ma poi è l’artigiano quello che si trova a dover gestire direttamente le situazioni, è la sua inventiva che si misura con la realtà. Quindi, in una prospettiva di bene comune, se anche un momento di lutto diventa occasione per il negoziato, ben venga. Insomma, come mia opinione, nulla più, non sarei preclusivo di fronte a occasioni del genere. La famosa idea del Papa di non occupare gli spazi e di avviare i processi credo che sia da leggere anche in termini di negoziato.
Nei fatti si è arrivati alla pace partendo anche da approcci più informali tra i contendenti?
È inutile convocare una grande conferenza se poi qualcuno non viene. Potrebbe risultare più produttivo incontrare quella stessa persona per un caffè. Mi viene in mente l’atto finale degli accordi di Helsinki del 1975, frutto di un negoziato che iniziò nel 1972 con il cosiddetto tè degli ambasciatori. Ogni settimana gli ambasciatori dei Paesi occidentali, di quelli che allora erano oltre cortina, si ritrovavano a Helsinki, in una delle diverse sedi diplomatiche, per prendere un tè. Di là nacque il processo che portò poi agli accordi di Helsinki e, se vogliamo, agli effetti che hanno avuto sulla caduta del Muro di Berlino e sul riassetto europeo e mondiale. Quindi, direi che nulla è banale di fronte alla possibilità di dialogare.
Possiamo leggerci l’indicazione a riscoprire l’umanità del rapporto, anche tra i leader del mondo?
Esatto, la scoperta di un rapporto che è tra persone, non tra istituzioni. Zelensky e Trump che si parlano, seduti in quel modo, sembravano in un bar, mancava soltanto il tavolino. Questo sta a significare un’immediatezza del rapporto, anche se sui contenuti non possiamo dire nulla.
(Paolo Rossetti)
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