Il film “Chiamatemi Francesco – Il Papa della gente” racconta la vita di Bergoglio e apre una finestra sul periodo della dittatura di Jorge Rafael Videla in Argentina, tema su cui si sono allungate delle ombre dopo l’elezione di Papa Francesco. Il pontefice è stato accusato, non sempre velatamente, di non aver impedito l’arresto di due gesuiti, vicenda per la quale qualcuno arrivò a ritenerlo complice del regime.
Infatti, la pellicola mostra l’attività dei gesuiti a favore dei perseguitati del regime e si racconta anche l’episodio di Yorio e Jalics, arrestati con l’accusa di essere guerriglieri e torturati per cinque mesi. In realtà, quell’accusa di collusione, di aver fiancheggiato la dittatura e denunciato i due sacerdoti si è rivelata infondata.
LE ACCUSE DI VERBITSKY
A sollevare i dubbi su Papa Francesco fu un giornalista connazionale, Horacio Verbitsky, il quale parlò di un progetto di soppressione degli oppositori alla dittatura tramite voli della morte. L’inchiesta giornalistica puntò il dito contro la chiesa argentina e Bergoglio, nonostante non vi fossero testimonianze, prove né indizi sulle sue responsabilità.
In base alla tesi di Verbitsky, un mese prima del golpe, Bergoglio avrebbe chiesto ai due preti di lasciare le comunità e baraccopoli dove lavoravano e venne accusato di averli cacciati dalla Compagnia di Gesù, senza avvisarli, dopo che si rifiutarono di farlo. Quindi, avrebbe tolto loro protezione e li avrebbe puniti per la loro presunta disobbedienza. Poco dopo il golpe, i due religiosi furono rapiti e rilasciati sei mesi dopo, pare su pressione da Roma della Chiesa per salvare loro la vita.
In realtà, i bergogliani sostengono che si sia mosso per salvare religiosi e laici dalla dittatura argentina, pur non esponendosi pubblicamente contro i crimini condannandoli, anche perché farlo voleva dire mettere a rischio la propria vita. Stando a quanto riportato da Limes, Bergoglio si recò personalmente da Videla per chiedere la liberazione di Yorio e Jalics. Infatti, si sarebbe guadagnato la stima degli attivisti per i diritti umani e delle madri di Plaza de Mayo, che erano molto dure nei loro giudizi contro la gerarchia cattolica.
LA VERSIONE DI PAPA FRANCESCO
Durante il processo per i crimini commessi nella caserma Esma, Papa Francesco testimoniò affermando di aver incontrato anche il capo della Marina Emilio Massera, oltre che con Videla, per intercedere per i due religiosi. Testimoniò altresì che i gesuiti all’epoca avevano paura per la loro incolumità. Ma Bergoglio ha affrontato la questione anche nel 2023, durante un viaggio in Ungheria in cui si confrontò con i membri della Compagnia di Gesù.
Dal colloquio, i cui contenuti furono riportati da Civiltà Cattolica, emerse che il Santo Padre definì “molto dolorosa” quella vicenda. “Io ho fatto quel che sentivo di fare per difenderli“, rivendicò il pontefice. In merito all’accusa di averli consegnati affinché venissero imprigionati, parlò di una “leggenda“, suggerendo di leggere i documenti pubblicati dalla Conferenza episcopale argentina in merito a quanto accaduto tra la Chiesa e i militari.
L’APERTURA DEGLI ARCHIVI VATICANI
Infatti, mesi dopo quel colloquio aprì anticipatamente gli archivi vaticani riguardo gli anni della dittatura in Argentina per consentire ad alcuni studiosi di approfondire la questione. Dalle carte è emerso che effettivamente Bergoglio disapprovava il progetto dei due religiosi, ma perché lo riteneva troppo pericoloso. Per quanto riguarda il rapimento e le torture, proprio Bergoglio, insieme al nunzio apostolico Pio Laghi, si mossero per la liberazione dei due religiosi.
C’è stato un gesuita, padre Luis Dourron, che smentì la presunta collusione di Bergoglio, negata poi dallo stesso Jalics negli anni successivi. A schierarsi apertamente in difesa del pontefice è stato il premio Nobel per la pace dell’80 Adolfo Perez Esquivel, che ha vissuto sulla sua pelle la dittatura argentina, essendo stato incarcerato e torturato. A margine di un incontro in Vaticano, volle protegge Francesco dichiarando che “non è mai stato complice della dittatura“. La sua linea era semplicemente diversa, perché preferì adottare una “diplomazia silenziosa“.
LA PRESA DI POSIZIONE DI JALICS
Se all’epoca la Chiesa argentina non si mosse in maniera omogenea, infatti alcuni vescovi furono effettivamente complici del regime, Bergoglio non lo fu affatto. Ma una pietra su questa polemica l’ha messa proprio Jalics, il quale dichiarò pubblicamente che il suo rapimento non era avvenuto “per iniziativa” di Bergoglio, confermando che le supposizioni erano infondate e che circolavano “voci false” anche all’interno della Chiesa stessa.
Alla fine, il giornalista Verbitsky ha dovuto prender atto della versione di Jalics, che ha scagionato del tutto Bergoglio. Come fatto anche da un giudice, German Castelli, il quale definì del tutto falsa la tesi che fosse stato Francesco a consegnare i due preti. Il magistrato, che si occupò proprio dell’indagine sulla vicenda dei due gesuiti, spiegò che dopo aver esaminato la questione, ascoltato le accuse e rivisto i fatti, conclusero che “non c’è niente in questo affare che sia condannabile giuridicamente“.