Tra le tante parole di Francesco che in questi anni mi hanno fatto compagnia come missionario nei Paesi Bassi c’è sicuramente la sua esortazione ad “avviare processi piuttosto che occupare spazi”. Il Papa l’ha fatta per la prima volta nel suo testo programmatico Evangelii gaudium (2013), nel capitolo dedicato agli aspetti sociali dell’evangelizzazione. Nel paragrafo sul bene comune e sulla pace sociale, egli enumera alcuni principi “relazionati a tensioni bipolari” che valgono per ogni realtà sociale. Il primo è che il tempo è superiore allo spazio (Evangelii gaudium, 222-225).
Questo principio sorge dal dato che c’è sempre una tensione – don Giussani parlava di “differenza di potenziale” – tra la pienezza per cui siamo fatti e il limite dentro il quale ci troviamo esistenzialmente. Uno può vivere il particolare limitato in cui è solo alla luce, nell’orizzonte di una “pienezza” che lo raggiunge dentro quel dettaglio. Per il Papa, spazio e tempo simboleggiano i termini di questa tensione. Lo spazio dice il momento come circoscrizione, come limite, mentre il tempo ne esprime l’apertura, “l’orizzonte più grande…, [la] causa finale che attrae”, che ti permette di non soffocare dentro la circostanza. Da qui la superiorità del tempo sullo spazio.
Se si vuole “progredire nella costruzione di un popolo”, contribuire all’edificazione della Chiesa o della società, bisogna rispettare questo principio. Per cambiare le realtà sociali, occorre privilegiare l’uso del tempo, iniziando processi piuttosto che cercare di occupare spazi di potere; lavorare a lungo termine puntando sul cambiamento della persona, senza essere ricattati dai risultati immediati (Evangelii gaudium, 223).
Francesco approfondisce questa frase nel suo famoso discorso alla Curia romana per gli auguri di Natale del 2019. Citando Newman – “Qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni” – sottolinea che la vita umana è caratterizzata dallo sviluppo e dalla crescita che, se accade, accade nel tempo. A livello personale – l’unico che può dare origine anche agli sviluppi e ai cambiamenti sociali – questa crescita si chiama conversione o trasformazione interiore:
“La vita cristiana (…) è un cammino, un pellegrinaggio. La storia biblica è tutta un cammino, segnato da avvii e ripartenze; come per Abramo; come per quanti, duemila anni or sono in Galilea, si misero in cammino per seguire Gesù: ‘E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono’ (Lc 5,11). Da allora, la storia del popolo di Dio – la storia della Chiesa – è segnata sempre da partenze, spostamenti, cambiamenti” (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2019).
Sottolinea poi che questo cammino non è principalmente geografico, ma “simbolico”. Uno può rimanere lì dov’è. La vera conversione comincia col rispondere all’invito “a scoprire il moto del cuore” (ibid.). Questo tema del cuore Francesco l’ha approfondito nella sua ultima enciclica Dilexit nos (24 ottobre 2024):
“Il cuore (…) appare come centro del desiderio e luogo in cui prendono forma le decisioni importanti della persona (…) [Esso] sta dietro ogni apparenza, anche dietro i pensieri superficiali che ci confondono (…). È il luogo della sincerità, dove non si può ingannare né dissimulare (…). Indica le vere intenzioni, ciò che si pensa, si crede e si vuole realmente (…). Si tratta di quello che non è apparenza né menzogna bensì autentico, reale, totalmente personale (…) Questa verità di ogni persona è spesso nascosta sotto una gran quantità di ‘fogliame’ che la ricopre, e questo fa sì che difficilmente si arrivi alla certezza di conoscere sé stessi (…). La mera apparenza, la dissimulazione e l’inganno danneggiano e pervertono il cuore (…). Invece di cercare soddisfazioni superficiali e di recitare una parte davanti agli altri, la cosa migliore è lasciar emergere domande che contano: chi sono veramente, che cosa cerco, che senso voglio che abbiano la mia vita, le mie scelte o le mie azioni, perché e per quale scopo sono in questo mondo (…). Queste domande mi portano al mio cuore” (Dilexit nos, 3-8).
C’è bisogno di recuperare l’importanza del cuore (Dilexit nos, 2), in particolar modo nel nostro tempo, che rappresenta non un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento di epoca. Siamo in uno di quei momenti in cui si trasforma velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di pensare, di rapportarsi tra le generazioni, e che richiede un modo radicalmente nuovo di comprendere la vita e la fede.
La situazione odierna ci chiede di lasciarci interrogare dalle sfide del tempo presente, che risvegliano “nuove e vecchie domande con le quali è giusto e necessario confrontarsi” (Lettera al popolo di Dio che è in cammino in Germania, 29 giugno 2019). Questo confronto, per portare frutto, ha bisogno di discernimento – cioè giudizio, capacità che è proporzionale alla familiarità col proprio cuore – di parresia – il coraggio di dirsi senza timore, anche a costo di risultare scomodi o di opporsi a chi detiene il potere – e di pazienza o perseveranza, perché Dio si manifesta nel tempo. In questo modo, il cambiamento che viviamo può diventare umano e cristiano, perché è “compiuto a partire dal centro stesso dell’uomo”. Diventa una conversione antropologica (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2019).
Il cuore, per essere sé stesso, sempre di più, per non perdersi, per dare frutto, deve camminare, lavorare, assecondando “il proprio moto” o “l’impeto originale con cui si protende sulla realtà”, nelle parole di don Giussani. Attraverso la persona impegnata col proprio cuore, questa conversione può investire il campo sociale, l’educazione e la politica.
Durante un’udienza a un gruppo di giovani il 18 marzo 2023, Francesco sottolineò che per essere fecondi nel lavoro per la casa comune, ci vuole tenerezza, cioè “l’amore che si fa vicino e concreto” e che caratterizza il cammino delle persone più coraggiose e forti. “I più piccoli, i più deboli, i più poveri debbono intenerirci: hanno ‘diritto’ di prenderci l’anima e il cuore” (Fratelli tutti, 194).
La fecondità poi “è fatta di condivisione, di sguardo a lungo termine, di dialoghi, di fiducia, di comprensione, di ascolto, di tempo speso, di risposte pronte e non rimandate. Significa (…) avviare processi piuttosto che occupare spazi. Questa è la regola d’oro: la tua attività è per occupare uno spazio per te? Non va. Per il tuo gruppo? Non va. Occupare spazi non va, avviare processi va. Il tempo è superiore allo spazio” (Udienza a un gruppo di giovani, 18 marzo 2023).
Puntare su una conversione antropologia che avviene nel tempo invece che sull’“occupare posti”, permette di sopportare con pazienza anche le situazioni difficili o apparentemente avverse e di accettare quei cambiamenti di programma che le dinamiche della realtà richiedono: “il tempo ordina gli spazi”. Se si punta sugli sviluppi nel tempo, non c’è bisogno di ansietà, però di “convinzioni chiare e tenaci” (Evangelii gaudium, 223), frutto di esperienze personali, ottenute con giudizio, libertà e pazienza.
È chiaro che il contrario – occupare posti di potere invece di avviare ed accompagnare simili processi di conversione – sarebbe impossibile in un contesto missionario. Ma l’espressione di papa Francesco è soprattutto entusiasmante perché esprime la passione cristiana per ciò che ci caratterizza come uomini, cioè che cresciamo attraverso un cammino profondamente umano.
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