ULAANBAATAR (Mongolia) – Francesco fa tutto negli ultimi istanti passati dentro la Steppe Arena, il palazzo del ghiaccio in cui si coltivano le ambizioni sportive dei mongoli. “Sono partito per questo pellegrinaggio con molta attesa, con il desiderio di incontrarvi e di conoscervi” confessa nel suo saluto finale. E poi rende lode a Dio, perché attraverso il popolo mongolo e la sua piccola chiesa, ha compiuto cose grandi nella piccolezza. È quasi un commiato il suo, sebbene manchino una manciata di ore al volo di ritorno a Roma.
Ma il Papa che ha appena celebrato l’Eucarestia con schegge di Asia, arrivate in piccole delegazioni, confida di avere il cuore colmo di gioia, per il dono dell’amicizia, la sapienza delle relazioni, le tradizioni e la semplicità nell’affrontare la vita che ha sperimentato. Sugli spalti macchiati di colore, dove brillano le vesti arancioni dei monaci, il viola delle danzatrici sud-vietnamite e il rosso costellato dalle cinque stelle della bandiera dell’impero cinese, Francesco parla della sete di infinito che rende tutti gli uomini uguali, nomadi di Dio, alla ricerca della direzione e del senso della vita. Si può credere in Buddha, o nei riti sciamanici, pregare Allah o Jahvé, cercare la benedizione della luce che entra come una meridiana nella Ger, illuminando le pareti di feltro, o inseguire i maestri spirituali, ma alla fine, ciò che conta è la sete che ci abita.
Ogni uomo, ogni cuore vuole solo scoprire il segreto della vera gioia, nel bel mezzo delle aridità esistenziali. È la sete inestinguibile di felicità, quella che ci fa alzare ogni giorno, che conduce sottotraccia le giornate, che ci muove verso oasi di verità e bellezza. È la sete che solo l’amore può appagare davvero. E i cristiani, conferma Francesco, hanno una risposta, anzi “la risposta”. Una persona, Cristo. È l’eterno e pieno senso dell’esistenza. Non serve essere grandi, ricchi e potenti per capirlo. Anzi più si è piccoli e più si è capaci di riconoscerlo. Perché l’amore che guarisce le nostre ferite, arriva e trasforma la nostra piccolezza. Irrora l’anima nonostante o proprio attraverso la nostra miseria.
È il mandato commovente e autentico di una comunità di appena 1.500 persone, che balbetta le domande sulla propria fede, riempiendosi la bocca di mille perché come fanno i bambini con i propri genitori. E tutto ciò che occorre è farsi plasmare dall’amore, lasciarsi sconvolgere da Dio, per appagare l’arsura del cuore. Sembra semplice. Forse è semplice. Ma bisogna imparare anche ad abbracciare la croce, e buttarsi accettando di perdere la propria vita. È la grande scommessa proposta da Francesco e della sua minuscola chiesa al popolo mongolo, in questi giorni pieni di gesti, sorrisi, cieli e colline verdi.
Non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici, ripete come un mantra Francesco. Così gli uomini e le donne gentili della Mongolia giungono le mani e pregano. Per il mondo lacerato dai conflitti e dalle guerre, per chi non comprende o si ostina a non capire, per i fratelli dei templi buddisti e delle sinagoghe, delle mosche e dei riti olistici. Sorridono e pregano. Perché posseggono la semplicità che permette di chiedere e seguire.
Poi quando tutto sembra compiuto, Francesco chiama sull’altare il cardinale Tong Hon e il futuro porporato Chow, rispettivamente pastore emerito e vescovo di Hong Kong, e fa l’ennesima sorpresa. Dopo giorni in cui il confronto tra Santa Sede e Pechino, accorciato nella distanza per la presenza del Papa nel cuore del continente asiatico, ha accompagnato le analisi di questi giorni mongoli, il pontefice abbraccia i due pastori cinesi e si rivolge ai circa 200 pellegrini che hanno oltrepassato gli oltre 4600 km di confine che separano la Mongolia dalla grande Cina, solo per poter condividere questi giorni con lui.
Un gesto a sorpresa che lancia un messaggio distensivo e rassicurante a Pechino: a tutto il popolo cinese il Papa augura “il meglio” per poter “progredire sempre e andare avanti”. E ai cattolici cinesi chiede “di essere buoni cristiani e buoni cittadini”. Nessuna strategia, nessun recondito doppio fine. In Mongolia Francesco è arrivato per il suo piccolo gregge. Ma il cuore è abbastanza grande per guardare oltre la Grande Muraglia e abbracciare anche l’intera Cina.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.