Ieri mattina, nell’Aula Paolo VI, Papa Leone XIV ha accolto i rappresentanti delle Chiese orientali in occasione del Giubileo a loro dedicato. In un tempo segnato da divisioni e incomprensioni, il Pontefice ha voluto riaffermare la necessità di un cammino comune, sottolineando che “non possiamo più permettere che la Chiesa di Cristo viva come un corpo amputato”.
Leone XIV ha richiamato l’immagine dei “due polmoni” della Chiesa, Oriente e Occidente, affermando che “una Chiesa che respira con un solo polmone non può che faticare a vivere”. Ha poi aggiunto: “Non si tratta di tornare indietro, ma di tornare a desiderare. La vera unità non nascerà da un compromesso tra formule, ma da un amore più grande che ci precede”.
Il Papa ha insistito sull’importanza della conversione del cuore come fondamento del cammino ecumenico: “Il destino della comunione non può essere affidato alle diplomazie o ai sinodi, ma alla conversione del cuore”. Ha poi evocato l’Oriente come “la direzione verso cui si volge chi cerca il sole, chi spera nella luce”.
Nel silenzio che ha seguito l’intervento del Pontefice, molti occhi erano lucidi. Perché chi conosce la bellezza struggente della liturgia bizantina, la profondità della teologia orientale, la sobrietà della testimonianza dei monaci del deserto, sa che senza quell’anima l’Occidente cristiano rischia di diventare funzionale, stanco, sradicato. Come un albero che ha perso le radici e si sforza di produrre frutti solo per abitudine.
Il Giubileo delle Chiese orientali è un’occasione preziosa, ma anche un giudizio: ci dice chi siamo e che cosa ci manca. Non è un evento per specialisti, ma una chiamata per tutti. Perché non c’è comunione possibile tra le Chiese se non c’è comunione nelle nostre vite. L’unità, come la fede, non si dimostra: si incontra. E oggi, a Roma, l’incontro ha avuto il volto dell’Oriente. Un volto che ci abita e ci attende.
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