“La pace sia con tutti voi!”. Con queste parole, le prime del Risorto ai discepoli, le stesse scelte da lui, Papa Leone XIV ha inaugurato non solo un pontificato, ma una nuova stagione nella vita della Chiesa. Una stagione che si annuncia fin da ora come l’incontro fecondo tra la tenerezza pastorale di Francesco e la profondità dottrinale di Benedetto XVI. Missionario in America Latina, teologo canonista, uomo di frontiera e uomo di Regola, Robert Francis Prevost ha scelto un nome che non è neutro.
Non Giovanni Paolo. Non Francesco II. Ma Leone: il nome di chi ha custodito l’unità della fede nella tempesta del V secolo, Leone Magno, il papa del Tomo a Flaviano, il vescovo che difese l’umanità e la divinità di Cristo nella chiarezza del dogma, senza mai perdere l’anima del pastore.
È in questo solco che Leone XIV sembra volersi muovere: una Chiesa che non contrappone dottrina e misericordia, ma le riunifica come corpo e respiro. Nel suo primo discorso dalla loggia delle benedizioni, le sue parole sono state semplici, ma essenziali: “Il mondo ha bisogno della luce di Cristo. L’umanità necessita di Lui come il ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore. Aiutateci anche voi a costruire i ponti, con il dialogo, con l’incontro… unendo per essere un solo popolo, sempre in pace”.
“Ponte” è la parola chiave. Non nel senso vago del buonismo, ma ponte come ciò che unisce rive diverse mantenendole integre. E la prima riva da riunire, per Leone XIV, è quella tra Roma e l’Oriente cristiano. Il prossimo 23 maggio 2025 la Chiesa celebrerà i 1700 anni dal Concilio di Nicea (325), il primo concilio ecumenico riconosciuto da tutte le Chiese, il luogo della fede comune prima della frattura del 1054. Nicea definì la divinità del Figlio, la consustanzialità con il Padre. Nicea è linguaggio condiviso, origine visibile della nostra comunione.
La grande intuizione di Leone XIV sarà ripartire proprio da lì: dal simbolo che unisce, dal dogma che non divide. Un’unità che non è uniformità, ma verità condivisa. La stessa che Benedetto XVI, da teologo e poi da papa, ha sempre cercato come strada della ragione aperta alla fede.
Il nuovo Papa non rinnegherà le aperture pastorali di Francesco, soprattutto verso i migranti, i poveri, le famiglie ferite, le periferie esistenziali. Ma cercherà di offrire una cornice più definita, più stabile, più chiara. Non per tornare indietro, ma per riscoprire che la misericordia senza la verità si dissolve, e la verità senza la misericordia si irrigidisce.
Sarà un pontificato più silenzioso e più strutturato, più sobrio nei gesti, ma forte nei riferimenti teologici. Un papato che parla poco, ma torna a scrivere. Che accoglie, ma discute. Che chiama, ma forma. Come Leone Magno, Leone XIV non si accontenterà di tenere unita la barca nella tempesta. Vorrà ricordare al timoniere da dove viene il vento e dove va la rotta. Con Francesco ha imparato a uscire. Con Benedetto ha imparato a restare. Ora toccherà a lui insegnare a tornare insieme. A partire da Nicea. A partire da Cristo. A partire dalla pace.
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