Nel sole pieno di una primavera romana, davanti a centomila persone radunate in Piazza San Pietro, si è affacciato per la prima volta al mondo Papa Leone XIV, al secolo Robert Prevost, per recitare il Regina Coeli. A dispetto delle attese mediatiche e delle analisi immediate, non si è trattato di un semplice rito d’esordio, né di un’apparizione di circostanza. È stato un segno. Un segno spirituale, ecclesiale, umano. Un passaggio che ha confermato ciò che già si era intuito giovedì 8 maggio al momento della sua elezione: il nuovo Papa è stato scelto non per dottrine di rottura, né per visioni particolari o identitarie, ma per incarnare uno stile, quello della riconciliazione, della sobrietà, della pace.
Il cuore del primo Regina Coeli, infatti, è tutto nella parola pace. Una parola che, pronunciata da questo nuovo Pastore venuto dall’America, suona come un’eco familiare. È lo stesso grido di Francesco, è la stessa preoccupazione che ha accompagnato l’intero pontificato del Papa argentino.
E se molti si attendevano un cambio di tono, una virata dottrinale o un nuovo inizio di tipo istituzionale, hanno invece ricevuto la conferma di un’eredità assunta con responsabilità e tremore. Nessuna frattura, nessuna discontinuità: Leone XIV si è affacciato dalla loggia delle benedizioni con l’anima di un figlio, non con la voce di un successore.
Il nuovo Pontefice ha fatto ciò che ogni pastore autentico fa: ha pregato, ha invocato, ha parlato al cuore. E lo ha fatto con parole semplici, con uno sguardo limpido, quasi da fratello maggiore. “Mai più la guerra”, ha ripetuto, lasciando risuonare l’appello che fu di Francesco e che oggi, a distanza di ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, torna ad essere più attuale che mai.
E mentre evocava l’Ucraina, Gaza, i bambini deportati e le famiglie divise, il Papa sembrava incarnare una compassione concreta, sofferta, niente affatto diplomatica. Il suo non è stato un intervento politico, ma una vera e propria supplica spirituale, quasi un grido dell’anima.
Ecco il secondo segno, forse il più evidente di questo inizio: il ritorno al primato della spiritualità. Il nome stesso che Prevost ha scelto – Leone – evoca non soltanto la figura di Leone Magno, il grande difensore della fede nel V secolo, ma anche un’energia interiore, un coraggio della fede, una serietà di sguardo sull’umano e sull’eterno. In un tempo in cui molti si attendevano un Papa “funzionale”, che riducesse la Chiesa a mera macchina operativa o ad agenzia umanitaria, Leone XIV ha ricordato che il cuore della Chiesa è Cristo, e che la sua prima urgenza è credere.
Lo si è percepito nel tono che ha usato parlando ai giovani: “Non abbiate paura”, ha detto, citando il Giovanni Paolo II del 1978, e insieme riprendendo Francesco e Benedetto. Non abbiate paura della fede, non abbiate paura di Gesù. Come a dire che l’ora che viviamo – segnata da guerre, tensioni, disincanto e cinismo – è, prima di tutto, un’ora di smarrimento spirituale. E che solo la voce del Buon Pastore può risuonare abbastanza forte da ridestare il cuore, da richiamare le pecore disperse, da ricostruire un popolo.
C’è poi un terzo tratto che colpisce: l’umanità del gesto. Il Papa ha salutato le bande musicali, ha ringraziato per la musica che rallegra la festa del Buon Pastore, ha ricordato con delicatezza la Festa della mamma – con parole che non sembravano scritte in anticipo, ma dettate dal cuore. Anche in questo, si riconosce lo stile che il conclave ha voluto affidargli: uno stile fatto di mitezza, di attenzione, di presenza viva. Non un Pontefice accerchiato da idee o battaglie, ma un uomo radicato in Dio, che sa ascoltare e parlare all’umano. Non un leader ideologico, ma un credente che guida altri credenti.
In fondo, Papa Leone XIV ha cominciato così: pregando. E in quella preghiera ha stretto a sé l’intera Chiesa e il mondo intero, come chi si inginocchia davanti al dolore e domanda – quasi con timidezza, ma con profonda fiducia – un miracolo: il miracolo della pace. Un miracolo che non viene dalla forza, ma dall’amore. Non dalla strategia, ma dalla fede.
Forse è proprio questo, alla fine, il messaggio che il nuovo Papa ha voluto consegnare al mondo nel suo primo Regina Coeli: ricominciare dalla fede. Non come slogan, non come ideologia, ma come fiducia vera che solo Dio salva, solo Cristo guida, solo l’amore cambia il mondo.
E in un tempo in cui tutto sembra precario e le parole sembrano perdere peso, Leone XIV – mite, sobrio, pastorale – ci ha ricordato che la fede non è una reliquia, ma una sorgente. E che la Chiesa non è un’organizzazione, ma un popolo che cammina, che ama, che spera. Insieme al suo Pastore.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.