Prima di indossare la bianca veste di Pontefice, Robert Francis Prevost – oggi Papa Leone XIV – attraversò un travaglio interiore che lo portò a dubitare della propria vocazione e in un’intervista rilasciata anni fa al TG1 – quando era ancora cardinale – confidò di aver immaginato un futuro lontano dalla porpora, un’esistenza “normale”, fatta di matrimonio, figli e quotidianità, lontana dai voti e dalla solitudine della vita consacrata.
Nato a Chicago da genitori profondamente cattolici – figlio di immigrati francesi e spagnoli – Prevost crebbe in una famiglia dove la fede rappresentava il pane quotidiano, una forma di presenza silenziosa che scandiva i gesti, i silenzi e le discussioni più intime; il padre – anche se gli ribadì con forza l’importanza dell’intimità coniugale e del dono della procreazione – gli trasmise anche il valore di una relazione personale e diretta con Cristo, quasi a voler instaurare in lui un un’attrazione per il mondo ma anche un’ispirazione verso il divino.
A soli 14 anni, Prevost entrò nel seminario minore degli Agostiniani non spinto da una convinzione assoluta ma piuttosto da un moto di curiosità profonda, una sete di conoscenza che trovava nella vita comunitaria una forma di appartenenza e anni più tardi ricordò quel periodo come contrassegnato da un’inquietudine missionaria, un impulso a muoversi e partire più che da un’adesione piena al sacerdozio.
Ma il suo percorso non fu affatto lineare tanto che dopo l’università il noviziato si trasformò in un vero e proprio bivio, un momento di sospensione in cui Prevost confessò di aver valutato seriamente l’abbandono, affascinato dall’idea di servire come missionario in terre lontane dagli Stati Uniti, dove il Vangelo potesse confondersi con l’avventura: proprio quella crisi profonda, riecheggia la figura inquieta di Agostino d’Ippona – patrono del suo ordine – che proprio come lui attraversò un lungo conflitto tra desiderio e rinuncia, tra peccato e redenzione.
Papa Prevost e la Chiesa del futuro: contro l’istituzione, per una comunione di fedeli
L’ascesa al soglio pontificio di Leone XIV non ha cancellato le sue critiche radicali alla deriva istituzionale della Chiesa che già da cardinale aveva denunciato come un rischio sempre più concreto: quello di ridurre la comunità dei credenti a un apparato burocratico, irrigidito e autoreferenziale, privo dello spirito martiriale e della testimonianza concreta che dovrebbero essere il cuore del Vangelo.
In diverse occasioni aveva affermato che la Chiesa – troppe volte – ha finito per dimenticare la sua identità più vera – quella di essere il popolo di Dio – e non un’entità astratta fatta di titoli, documenti e gerarchie; la sua visione ecclesiale – ispirata al Concilio Vaticano II – resta comunque in tensione con le resistenze radicate della Curia romana, ancora oggi arroccata su logiche di ostili a qualsiasi ammorbidimento.
In questo scenario, la sua stessa biografica – i dubbi giovanili, la ricerca di un sacerdozio “in uscita”, l’attrazione per una vita più terrena – si è trasformata in una sorta di manifesto vivente, un programma pastorale che punta a restituire alla Chiesa un volto meno gerarchico e più vicino alla concretezza dell’umanità.