A proposito di “nuovi diritti”: non smettiamo mai di sorprenderci della capacità di individuarne di nuovi. Arriva francamente a sorpresa l’affermazione del parlamento europeo in merito all’aborto: un diritto che deve essere protetto. A tal punto che l’obiezione di coscienza può diventare un ostacolo.
Fortunatamente si tratta di una dichiarazione che non ha carattere normativo, ma che appare indubbiamente fortemente insidiosa, anche in merito al ruolo del medico, direttamente chiamato in causa. Nonostante la risoluzione sia stata approvata con 364 voti favorevoli, 154 contrari e 37 astensioni, vale la pena sottolineare che non ha alcun carattere vincolante sul piano legislativo. Nel testo si dice che il parlamento europeo condanna il deterioramento dei diritti e della salute sessuale e riproduttiva delle donne nel mondo, compresi gli Stati Uniti e alcuni Paesi Ue, e si chiede un accesso sicuro all’aborto. Riferendosi ai medici si legge inoltre che: “Il personale medico non deve negare alle donne l’assistenza all’aborto per motivi religiosi o di coscienza, poiché ciò mette a repentaglio la vita della paziente”. Nella risoluzione si ricorda alla Corte Suprema degli Stati Uniti l’importanza di sostenere la storica decisione Roe v. Wade (1973) in cui compare, per la prima volta nella Costituzione degli Stati Uniti, il diritto all’aborto.
Il passaggio da una visione dell’aborto come delitto a quella dell’aborto come diritto è maturata nell’arco di poche decine di anni e se inizialmente la legge, anche in Italia, depenalizzava l’aborto, perché ne coglieva tutte le ragioni di disagio e di sofferenza da parte delle donne, oggi invece sembra sostenerlo come un diritto che non può in nessun modo essere ostacolato, anche a spese di quell’agire in scienza e coscienza che è sempre stata la cifra della deontologia medica.
La risoluzione del parlamento europeo va oltre i confini della stessa Unione Europea e incoraggia il presidente degli Stati Uniti a garantire l’accesso all’aborto sicuro e legale, chiedendo non solo al governo del Texas, ma anche ad altri Stati americani con leggi analoghe di sostenere il diritto all’aborto delle donne, adeguando la loro legislazione a quella degli altri Paesi occidentali. D’altra parte la Commissione europea si dice pronta ad intervenire e a risarcire quegli Stati che risultassero danneggiati da questa decisione. Pronta a sostenere e a diffondere con forza l’accesso universale all’aborto sicuro e legale in nome della salute sessuale e riproduttiva (Sexual and reproductive health and rights; Srhr) a livello mondiale.
Il parlamento europeo infine propone di offrire un rifugio sicuro a tutti i professionisti del settore medico che potrebbero essere a rischio di persecuzione giudiziaria o di altro tipo, nel caso si opponessero alla pratica dell’aborto. L’iter seguito nelle sue argomentazioni dal parlamento europeo con questa risoluzione esula da qualsiasi altra risoluzione precedentemente elaborata e i tre passaggi chiave meritano di essere evidenziati proprio per la loro mancanza di precedenti.
Prima di tutto ci si rivolge al presidente di uno Stato non europeo per dire in modo inequivocabile cosa deve fare e cosa non deve fare. Davanti all’ipotesi che Biden non accolga questo invito pressante e non si allinei alla richiesta del parlamento europeo, il parlamento si dice pronto ad intervenire con fondi propri per risarcire gli Stati che risultassero danneggiati. Si tratterebbe di aiuti economici concreti inviati a sostegno di Stati inadempienti rispetto alle indicazioni del loro presidente, e quindi aiuti dati contro la volontà del presidente degli Stati Uniti.
La misura risarcitoria raggiungerebbe anche i professionisti che avendo preso parte ad un aborto ne sono stati successivamente danneggiati. A loro il parlamento europeo in questa risoluzione offre rifugio e probabilmente anche un nuovo posto di lavoro.
Meno male che tutto ciò non ha alcun valore normativo, ma è poco più di un pamphlet scritto per ribadire il diritto delle donne ad abortire; certamente non si possono sottovalutare gli impegni che almeno in via di ipotesi il parlamento si è detto disposto ad assumersi.
Viceversa nessuna attenzione, nessun rispetto, nessuna comprensione è riservata a quei medici che esercitando il loro diritto all’obiezione di coscienza si rifiutano di partecipare all’aborto. Per loro solo parole di condanna, quando non di disprezzo per le loro convinzioni religiose, considerate un fattore di rischio per la salute sessuale e riproduttiva delle donne. Davanti al diritto delle donne ad abortire il diritto della propria coscienza cessa di avere anche il minimo spazio nell’opinione dell’europarlamento. Tra chi sceglie liberamente di stare dalla parte della vita e chi sceglie di stare dalla parte dell’aborto, il primo sembra non avere neppure diritto di cittadinanza. Il pensiero unico dominante è solo a favore dell’aborto sicuro e legale; gratuito, accompagnato da una serie di servizi. Unica alternativa all’aborto la contraccezione, a carico sia delle donne che degli uomini, con una responsabilità condivisa. Anche in questo campo quel che conta è che vengano offerti servizi di alta qualità, accessibili, sicuri, a prezzi abbordabili e, ove opportuno, gratuiti, compresa la consulenza in materia di educazione sessuale e pianificazione familiare.
Tra le poche voci chiare e forti che hanno sottolineato il carattere ideologico e fortemente coercitivo di questa risoluzione c’è quella di Marina Casini, presidente del MpV italiano. Davanti ad un silenzio generalizzato della grande stampa, che si è limitata a rilanciare con forza il diritto all’aborto, Marina Casini ha voluto ricordare un’affermazione di suo padre, Carlo Casini, che a questo tema ha dedicato la sua vita intera e che vale la pena ricordare: “Il diritto di aborto è l’aborto del diritto, dei diritti dell’uomo, dell’Europa. Non è un giudizio sulle donne, sui vissuti, sui drammi, sui singoli. È un giudizio sulla cultura che si ribella alla sola idea che la Corte Suprema degli Stati Uniti potrebbe ribaltare la sentenza del 1973 e considerare il concepito un essere umano degno di vivere, una cultura che non tollera in alcun modo che si parli di lui: il concepito, il bambino non ancora nato”.
L’Italia è un Paese in cui le politiche demografiche non riescono a ribaltare il quadro desolante di un paese a crescita zero. Il Paese delle culle vuote e dell’inverno demografico. Un Paese che può capire il dramma di una donna che decida di abortire perché non si sente in condizione di farsene carico e le circostanze sembrano costringerla a rinunciare alla sua maternità, a suo figlio. L’aborto è e resta prima di tutto un dramma per tutte le donne che non riescono a superare gli ostacoli che si frappongono tra la loro vita e quella del figlio. Ma non è certamente un diritto. E non basta una risoluzione europea a trasformare una realtà potente come quella del concepimento e della vita che si sviluppa nel seno di una madre nel diritto a negare quella vita stessa. Nessuna censura per una donna che ad un certo punto si vede e si sente costretta a rinunziare al proprio figlio; ma neppure l’ipocrisia di parlare di un nuovo diritto, quello di negare quella stessa vita.
Molto più importante, proprio a tutela della salute sessuale e riproduttiva delle donne dovrebbe essere la prevenzione dell’aborto, sostenendo la vita con tutte le risorse possibili; creando le condizioni per l’accoglienza di un nuovo nato; predisponendo risorse economiche e logistiche, culturali e lavorative. Tutto ciò di cui un bambino ha bisogno quando viene al mondo è l’amore di sua madre e di suo padre, che a loro volta debbono sentirsi accompagnati nell’accoglienza del figlio, proprio per evitare quelle cause di aborto dettate dalla povertà, dalla mancanza di lavoro, dalla solitudine. Abbiamo bisogno tutti di tornare a capire cosa significa tutela sociale della maternità, che non è certo diritto all’aborto, ma consapevolezza che tutta la società è chiamata in causa per accogliere una nuova vita.
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