Pasquale Bruno è ricordato come il difensore più duro della storia, non a caso veniva chiamato ‘o animale. Fuori dal campo era tranquillo, quando giocava invece si trasformava, come ha ammesso lo stesso ex calciatore nell’intervista rilasciata a Repubblica. «Già nel tunnel degli spogliatoi mi partiva l’embolo. Mi sarebbe servito uno psichiatra, ero un caso grave». Questo perché era inconcepibile la sconfitta, un dolore che non sopportava. «A volte piangevo sotto la doccia». E racconta che la figlia Sandra era in grado di capire se avesse vinto o perso semplicemente dal passo che aveva rientrando a casa. «Non avevo amici tra i calciatori, ero troppo orgoglioso per chiedere la maglia a un Maradona o a un Van Basten. E poi, visto come li menavo, non me l’avrebbero neanche data. Ero come accecato». Era facile per lui ricevere cartellini gialli e rossi, ma d’altra parte era uno dei migliori stopper.
Ne è consapevole lo stesso Pasquale Bruno, che infatti non è modesto: «Mai sbagliato una partita importante o una finale. Annullai lo spagnolo Butragueño, stella del Real Madrid, marcandolo a uomo a tutto campo: vorrei vederne uno di adesso, giocare così». Con Roberto Baggio ha avuto un rapporto a dir poco particolare: «È stato il più grande giocatore italiano di tutti i tempi però mi pativa, mi insultava. E più lui parlava, più io lo menavo. Ma che gol mi fece in un derby! Con una finta mi mandò a rotolare in curva Maratona. Fenomeno».
LE 8 GIORNATE DI SQUALIFICA E IL GRANDE MARADONA
Ma Pasquale Bruno è stato anche colui che si prese otto giornate di squalifica in un derby contro la Juventus. «Il bianconero Casiraghi, fortissimo, l’avversario più cattivo che io abbia mai affrontato, simulò di avere subìto un fallo da parte mia». I due erano già stati ammoniti dall’arbitro Ceccarini, che mostrò un altro giallo a Bruno e lo cacciò. «Mi prese una crisi isterica, stavo vivendo una clamorosa ingiustizia, i compagni provarono a tenermi, Lentini mi stringeva, mi faceva male e io mi infuriavo ancora di più». Non finì solo con otto turni di stop, ma anche con una multa di 40 milioni di vecchie lire. Lui disse a Moggi: «Direttore, se devo pagare quaranta milioni, smetto di giocare». Moggi gli rispose che allora poteva smettere, alla fine li tolsero dallo stipendio.
Pasquale Bruno, comunque, non ha mai dubitato delle sue qualità: «Se non eri un fenomeno non giocavi in serie A, e anch’io modestamente lo ero. Rispetto ai marcatori di oggi, Pasquale Bruno era un fuoriclasse. Tra i miei colleghi attuali, neppure uno sarebbe titolare in quel Milan, in quella Juve, in quel Torino». Il più grande di tutti resta Maradona: «Lo menavi e non cadeva mai, con quel baricentro basso che aveva. Se facevi spalla a spalla con lui, che era tostissimo, finivi a terra tu. Non lo abbatteva nemmeno Vierchowod, cioè il più forte marcatore di quell’epoca».
“IL CALCIO ITALIANO ORA E’ SENZA PASSIONE”
Pasquale Bruno se la prese anche con Carlo Ancelotti. «Un gigante, Carletto, forte forte, mica un fighetta. Gli dicevo: ‘Oggi ti faccio finire la carriera’. E lui, sempre a battersi senza scappare. Un altro che non scappava mai era Vialli. Lo menavo di brutto e Luca, imperterrito, mi guardava e mi diceva: ‘Pasquale, stai tranquillo’. Così mi disarmava». Nell’intervista a Repubblica cita come avversario più indisponente Paolo Di Canio: «Grande giocatore e gran cacaca**i. Appena lo sfioravi, si buttava a terra e piagnucolava». Quel che manca all’ex difensore è uno scudetto: «Arrivai alla Juve del dopo Platini, ma potevo farcela col Toro se fosse rimasto il presidente Borsano. Il mio massimo rimpianto è non avere lottato per il titolo con addosso la maglia granata».
Nel frattempo, il calcio italiano è cambiato, è diventato «un posto freddo, senza passione, con troppi giocatori scarsi che si credono fenomeni. Colpa delle tivù». E quando si perde ora non cambia nulla, mentre prima era un dolore. «Dopo una sconfitta io ero ferito, soffrivo, piangevo e mi disperavo, mentre i giocatori di adesso perdono una finale e vanno in discoteca o al ristorante». Ora Pasquale Bruno fa il mediatore, pur di restare nel giro, oltre che per amicizia di Alessandro Moggi e Jason Ferguson. «Di recente potevo diventare direttore tecnico dell’Alessandria, ma non me la sono sentita, però ringrazio Enea Benedetto che me l’ha proposto. Ma avrei dovuto lasciare Lecce e la bici».