Nell’intervista al Financial Times in cui ha definito il ritorno di Trump alla Casa Bianca come un “elettroshock”, Emmanuel Macron non ha parlato solo di Ucraina e difesa europea, ma ha anche definito “obsoleto” il Patto di stabilità e crescita che vincola i Paesi membri dell’Ue a mantenere il deficit/Pil sotto il 3%. Per il Presidente francese, infatti, l’Europa è “sotto-indebitata” rispetto alla propria necessità di investire in intelligenza artificiale, transizione verde e sicurezza. Abbiamo chiesto un commento a Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata.
Professore, questa “bordata” di Macron contro le regole del Patto di stabilità e crescita, definite “obsolete” quando sono state da poco riformate, non sarà dovuta alle difficoltà che ha la Francia in questo momento a rispettarle?
Certamente la Francia è il Paese che in questo momento ha più di tutti gli altri un problema politico nel ricondurre il deficit ai livelli richiesti dalle regole europee. Tuttavia, non possiamo trascurare il fatto che se salta un Paese membro, specialmente se rilevante, salta tutta l’Ue. Non mi scandalizza che Macron pensi alle difficoltà del suo Paese, anche perché penso stia emergendo in maniera sempre più evidente il fatto che a rendere fragile il progetto collettivo europeo è la fragilità di ogni Paese a far fronte ai propri problemi interni.
Come mai il Presidente francese prende questa posizione proprio adesso?
Perché il Presidente degli Stati Uniti sta mettendo l’Europa in forte difficoltà economica, in parte richiamandola alle sue responsabilità in tema di spesa per la difesa, in parte adottando politiche che rendono il modello mercantilista di impronta tedesca dell’Ue obsoleto. Non penso sia un caso che Macron, sempre nell’intervista al Financial Times, inviti l’Europa a ridurre la sua dipendenza dalla Cina, e quindi a non cercare di portare avanti il suo modello economico trainato dall’export come Ursula von der Leyen sembra continuare a suggerire guardando a Pechino, e non consideri il debito comune come unica soluzione ai problemi del Vecchio continente.
In effetti, Macron ritiene che il debito comune possa essere una parte della soluzione…
Evidentemente dopo i primi atti della nuova Amministrazione Trump si è reso conto che non c’è più tempo. Idealmente è giusto muoversi verso un’Europa in cui i progetti di spesa vengono decisi a livello centrale, ma ancora molti Paesi si oppongono, in primis la Germania. Macron deve anche aver realizzato che promuovere un progetto europeo, per quanto importante, basato principalmente sulla difesa non salverà l’Ue, anzitutto di fronte ai suoi cittadini, che faranno sentire la loro voce nelle urne, rafforzando i partiti cosiddetti populisti.
Dunque, cosa bisogna fare se nemmeno il debito comune è sufficiente?
La politica fiscale rimane il tallone d’Achille dell’Europa, nessun altro al mondo ne adotta una così austera. In Italia il Pnrr, proprio perché inquadrato all’interno delle regole di un Patto di stabilità e crescita che chiede di continuare ad avere un avanzo primario, non ha generato tutta la crescita che ci si attendeva. E oggi non sappiamo come sostituirlo dopo il 2026. Io ritengo si debba consentire a ogni Paese di portare il deficit sopra il 3% del Pil per finanziare investimenti pubblici. Ovviamente occorre allo stesso tempo che ci sia una spending review, intesa come revisione che punti a migliorare la qualità della spesa e a evitare sprechi e non come mera attuazione di tagli lineari a casaccio. Sappiamo poi bene che gli investimenti che aiutano la crescita fanno diminuire il rapporto debito/Pil.
Secondo Macron, le risorse in deficit andrebbero usate per investimenti sull’IA, la transizione green e la sicurezza. Cosa ne pensa?
Penso che ogni Paese debba individuare gli investimenti che ritiene importanti per sé. Per esempio, se l’Italia ha un problema sulla sanità, deve potere investire in capitale umano, quale quello rappresentato da medici e infermieri. L’unico “vincolo” sarebbe rappresentato dalla qualità della spesa.
Sarebbe possibile trovare il modo di far rispettare questo vincolo?
Le regole che il Pnrr ha introdotto hanno cambiato la Pa, rendendola più attenta ai concetti come target, milestone e performance. Questo “metodo Pnrr” ha funzionato e, se mantenuto, può aiutare a garantire la qualità della spesa degli investimenti in deficit. Nel caso dell’Italia è importante che al contempo si investa anche sulle competenze e la qualità delle stazioni appaltanti.
Far scegliere a ogni Paese in quali campi investire non significa andare in ordine sparso anziché rafforzare l’unione tra loro?
Non procediamo in ordine sparso se spendiamo in modo diverso. Procediamo in ordine compatto se ci diamo delle regole che restituiscono dignità alle persone all’interno del progetto europeo, perché quelle persone si sentono rappresentate dalle scelte del proprio Governo.
La Germania sarebbe favorevole a questo progetto?
Intanto prendiamo atto della posizione espressa dalla Francia. Aspettiamo, quindi, le elezioni in Germania sperando, per il bene dell’Europa, che non prevalgano i populismi. Credo che in ogni caso la politica tedesca realizzerà che è necessario un cambiamento e ritengo ci sarà un Governo con una sensibilità alle problematiche interne diversa rispetto al passato, vista anche la recessione biennale del Paese.
Secondo Macron, potrebbero volerci cinque o dieci anni perché l’Europa si rafforzi. Abbiamo tutto questo tempo a disposizione?
Penso che l’importante sia cominciare a imprimere una svolta. Poi ci vorrà tempo per riuscire a cambiare regole austere cui ci siamo terribilmente abituati. Dovremo riuscire a comprendere che spendere bene è importante per le persone più deboli, più innovative come i giovani e chi lavora nelle Pmi, e che quindi spendere bene è bello ed è un dovere in alcuni casi.
(Lorenzo Torrisi)
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