Per finanziare il piano di riarmo europeo, la Commissione non intende rimettere mano alle regole del Patto di stabilità. L’unica apertura arrivata da Bruxelles riguarda la possibilità di consentire ai Paesi membri di aumentare la spesa per la difesa dell’1,5% del Pil per quattro anni senza che questo comporti “sanzioni”.
Il ministro dell’Economia italiano Giancarlo Giorgetti, intervenendo alla Camera, ha evidenziato la necessità che questa “flessibilità” non comporti un aumento significativo del debito pubblico e non penalizzi la spesa destinata a settori chiave come la sanità e i servizi pubblici. Abbiamo chiesto un commento a Massimo D’Antoni, Professore di Scienza delle finanze all’Università di Siena.
In questi giorni si è parlato di rivedere il Patto di stabilità appena riformato. Il commissario all’Economia Dombrovskis ha tuttavia ribadito che la Commissione non intende modificare l’impianto delle regole da poco entrate in vigore. Come giudica questo atteggiamento delle istituzioni europee? Ideologia, volontà di non ammettere errori compiuti, mancanza di realismo?
Devo dire che, mettendomi nei suoi panni, comprendo la risposta di Dombrovskis. Ne va della credibilità delle regole se già all’indomani della loro adozione si parla di rivederle. Quanto ad ammettere gli errori, se per errore intendiamo l’insistenza su un impianto teso a un eccessivo contenimento della spesa e della domanda interna, in ossequio a un modello che vorrebbe la crescita trainata dall’export, potremmo dire che se non si è ammesso di sbagliare in tutti questi anni, dubito che lo si possa fare ora.
Al di là della questione relativa agli investimenti nella difesa, ci sono Paesi (non solo la Francia, ma anche l’Olanda) che faticano a compiere le manovre di rientro dei conti pubblici richieste. Eppure tutti i Paesi membri hanno detto sì alle nuove regole. Hanno sottovalutato il loro contenuto? Oppure avevano sottovalutato allora il giudizio degli elettori?
Mi riesce difficile trovare una spiegazione. Non riesco a credere, ad esempio, che la Francia non avesse a disposizione delle proiezioni sugli effetti delle nuove regole per la sua economia. Più facile pensare che Macron abbia sopravvalutato la propria capacità di gestire il consenso nel proprio Paese e quindi di dirigere la politica economica del suo Governo in linea con le regole.
Potrebbe anche aver pesato la presunzione di poter godere di una sorta di trattamento preferenziale, la convinzione che le regole europee non possano essere applicate in modo troppo severo nei confronti di un Paese così centrale per gli equilibri dell’Unione come la Francia.
Parliamo del piano RearmEurope. Se passasse la linea della Commissione, cioè attivare le clausole nazionali di salvaguardia per rendere possibili investimenti fino all’1,5% del Pil l’anno per quattro anni, cosa comporterebbe per il caso specifico italiano?
Intanto mi lasci dire che la soluzione individuata dalla Commissione, l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale, appare come una forzatura delle regole. L’art. 26 del nuovo regolamento sul braccio preventivo (il 1263/2024), che regola questa materia, prevede la possibilità di deviare dal percorso previsto dal Patto di stabilità nel caso di circostanze eccezionali al di fuori del controllo dello Stato che abbiano rilevanti ripercussioni sulle sue finanze pubbliche.
Qui ci troveremmo a stabilire che ciascuno Stato dell’Unione, individualmente, sia soggetto a una situazione eccezionale che richiede un aumento della spesa per armamenti. La prima domanda è se tale situazione, di necessità, evidentemente identificata con la minaccia di un’aggressione russa, sia concreta o puramente ipotetica e se riguardi effettivamente tutti i Paesi europei.
In effetti, è una domanda che potrebbe non trovare una risposta univoca…
La seconda stranezza è che si vorrebbe attivare la clausola per indurre selettivamente un aumento della sola spesa militare, mentre il regolamento prevede che, in emergenza, il Paese possa non rispettare i vincoli di bilancio. Sarebbe insomma un uso un po’ improprio di quella clausola.
Lo stesso articolo 26 precisa che la deviazione deve essere effettuata garantendo la sostenibilità di bilancio nel medio termine. Qui rispondo alla sua domanda specifica sul nostro Paese: se fino a pochi mesi fa si è affermato che il rispetto delle regole a noi imposte fosse necessario per garantire la sostenibilità, come è possibile sostenere ora con tanta tranquillità che la sostenibilità non sarebbe compromessa da una loro violazione?
Considerando le differenze esistenti nei livelli di indebitamento, con questo allentamento delle regole non rischieremmo di avere Paesi più protetti e sicuri di altri e con Pil che crescono anche per la maggior produzione di armi?
Questo è infatti un problema: anche allentando le regole per tutti, restano le differenze nei livelli di debito pubblico. È chiaro che lo spazio di manovra dell’Italia è inferiore a quello ad esempio della Germania. Al termine di questo passaggio ci saranno divergenze sul piano della forza militare e, come ricordava giustamente, considerando l’effetto moltiplicatore di tale spesa, anche in termini di crescita.
Che “costo” avrebbero per l’Italia maggiori investimenti in difesa a livello di rifinanziamento del debito e di spesa per il welfare?
Sento ragionare come se l’allentamento dei vincoli di bilancio annunciato fosse una sorta di pasto gratuito, come se, una volta autorizzato l’allentamento del Patto di stabilità, l’aumento di spesa militare non avesse alcun costo o non fosse in concorrenza con altre spese.
Non dobbiamo dimenticare che le risorse per l’aumentata spesa militare dovrebbero attingere comunque allo stesso bilancio, quindi alle stesse imposte e – se vogliamo – allo stesso debito, cui attinge la spesa per il welfare, per l’istruzione, per i trasporti e così via. Resta anche da capire se si tratta di spese una tantum o invece il preludio a un aumento permanente della spesa.
Di quest’ultima ipotesi si parla infatti quando si indica il 2% del Pil come obiettivo. Ciò significa che la sostituzione tra spesa sociale e spesa militare avrebbe, nell’ambito di un livello complessivo di spesa che difficilmente può aumentare, un carattere strutturale.
Quali conseguenze ci sarebbero a livello generale dell’Ue e della sua economia?
Credo che la conseguenza peggiore di questa presa di posizione della Commissione sia quella di evidenziare una sorta di strabismo e doppiopesismo nell’applicazione delle regole di bilancio. Il messaggio che passa è che non ci sono soldi per la scuola, l’università, la ricerca, la sanità, i servizi pubblici, perché queste spese possono compromettere la stabilità di bilancio, mentre tale stabilità cessa di essere un problema quando la spesa è in armamenti. Un messaggio devastante per l’immagine dell’Ue presso la stessa opinione pubblica europea.
(Lorenzo Torrisi)
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