Il payback sanitario ha messo in crisi le imprese del settore biomedicale. Il riferimento è alla misura del Governo per cui la spesa sostenuta dal Servizio Sanitario Nazionale per l’acquisto dei dispositivi medici – dalle siringhe alle garze, fino a bypass e Tac – è stata fissata entro un tetto e, di conseguenza, la spesa per una percentuale dell’eventuale sforamento è stata messa a carico delle aziende fornitrici. Queste ultime, infatti, non riescono a pagare.
Una indagine di Confindustria dispositivi medici sugli effetti del provvedimento, come riportato da Il Sole 24 Ore, ha evidenziato che il 37% delle imprese è a rischio insolvenza e oltre la metà ha deciso di rinunciare alle gare pubbliche e di puntare a quelle private, con la conseguenza che gli ospedali pubblici non possono beneficiare delle ultime tecnologie. Il 60% inoltre guarda sempre di più all’estero. Le conseguenze, tuttavia, sono a carico anche dei dipendenti. Una impresa su tre (il 31%) ha avviato i licenziamenti e il 61% ha fermato le assunzioni.
Payback ha messo in crisi imprese del settore biomedicale: la protesta
Le cifre a carico delle imprese del settore biomedicale derivanti dal payback sanitario sono considerevoli. Il 30 novembre, a meno di ulteriori proroghe, 4449 aziende dovranno sborsare un miliardo per gli sforamenti relativi agli anni 2015-2018. Nel periodo 2019-2021 la somma potrebbe essere ancora più alta. È per questo motivo che si sono riunite per chiedere l’abolizione dell’obbligo sia per quest’anno che per i prossimi.
In tal senso, è attesa a giorni una sentenza del Consiglio di Stato che potrebbe rinviare la questione alla Consulta in virtù di una presunta illegittimità costituzionale della norma. I ricorsi presentati al Tar sul tema sono stati infatti ben 1800. Nel caso in cui i giudici dovessero dare ragione alle aziende fornitrici dei dispositivi medici, il Governo dovrebbe rivedere la misura e coprire il miliardo di sforamento richiesto a queste ultime.