Li chiamano i “pendolari della salute” e, come evidenziato da alcune ricerche condotte nel corso degli ultimi anni, costituiscono un vero e proprio popolo di un milione e quattrocentomila persone che ogni anni danno vita a una vera e propria migrazione, partendo spesso dalle aree più disagiate del Sud alla volta della Lombardia per curarsi: infatti il modello di sanità che da anni è ammirato anche all’estero nella regione-locomotiva d’Italia è visto oramai come un vero e proprio modello di efficienza non solo dal punto di vista sanitario ma anche perché è in grado di erogare più celermente cure e spesso ricorrendo a tecnologie e personale all’avanguardia grazie alla commistione di pubblico e privato. E il termine “pendolari” non è certo casuale dato che questa gente si sposta non più solamente dal Meridione ma da tutti gli angoli d’Italia e come mostrano alcuni reportage ad essere prese pacificamente d’assalto sono le strutture ospedaliere della cosiddetta cintura milanese: e non è un caso che sono nate non solo associazioni ma pure diverse iniziative per venire incontro a questo popolo silenzioso, o fantasma come qualcuno l’ha definito, al fine di aiutarli dal punto di vista economico e pure psicologico in trasferte lunghe e pesanti affrontate solo per avere una speranza in più di guarire o anche solo non dover sottostare a tempi di attesa biblici.
I “PENDOLARI DELLA SALUTE” E LA SANITA’ LOMBARDA
Stando a quanto rivelato da una indagine del Censis dell’anno scorso, questa vera e propria “migrazione sanitaria” interessa infatti un numero sempre crescente di persone a cui però spesso lo Stato non fornisce il supporto adeguato e quindi tocca a loro stessi organizzare viaggi di fortuna, anche in autobus, e alloggiando a proprie spese nel milanese: la testimonianza, tra l’altro di una sanità che nel nostro Paese viaggia a due se non a tre velocità e a cui propositi di autonomia spesso proposti dalla politica non sembrano poter dare affatto una risposta. Spesso si tratta inoltre di persone in situazioni di grave disagio che sono costrette pure a vivere il “trauma” di spostamenti dalla propria regione e in luoghi in cui vivono a disagio la loro condizione. Come accennato prima, si tratta di un “fenomeno fantasma” dal momento che non se ne conoscono i numeri precisi e per via del fatto che spesso il paziente si organizza privatamente: una vicenda non certo invisibile però per tante associazioni che da anni si occupano di supportare e sostenere i malati costretti a sottoporsi a delle cure lontani da casa. Le motivazioni che emergono dalle interviste sono sempre le stesse: tempi di attesa troppo lunghi, esami eseguiti male se non rinviati, scarsa professionalità in alcune strutture, senza contare il fatto che determinati esami o terapie possono essere solamente effettuati in alcuni ospedali italiani. Non è raro che vi sia chi lucri sulla sofferenza di queste persone, proponendo soluzioni abitative nei pressi degli ospedali a prezzi più elevati, ma va detto che in generale la tendenza è quella di rendere quello dei viaggi della speranza una sorta di business, con b&b e residence che sorgono proprio per venire incontro a tali esigenze, il cui rovescio della medaglia è però la preoccupazione, secondo alcuni, di sovraccaricare lo stesso sistema lombardo e minarne così la sua proverbiale efficienza.