Nate negli anni ’70 come rete di protezione per gli ultimi, le pensioni assistenziali oggi sono un rompicapo economico e morale, un nodo che intreccia numeri e vite quotidiane. In Italia, oltre 1,3 milioni di cittadini – disabili, anziani senza contributi, nuclei in povertà estrema – sopravvivono grazie a questi assegni che oscillano tra i 300 e i 780 euro mensili; un sistema nato con intenti nobili, ma logorato da criticità che si trascinano da decenni, tra frodi e disparità regionali.
In dieci anni il numero dei beneficiari delle pensioni è cresciuto del 18%, mentre il costo complessivo ha raggiunto gli 8 miliardi annui, appesantendo un welfare già fragile che fatica a tenere insieme equità e bilancio.
Il paradosso è che, mentre il Nord investe in reinserimento lavorativo e politiche attive, al Sud il sussidio diventa spesso l’unica politica sociale; a Napoli il 40% dei beneficiari ha più di 65 anni (seconda in classifica con 121 pensioni ogni mille abitanti) ma il boom lo si riscontra in Calabria (prima con una media di 131 trattamenti ogni mille residenti) dove il 30% delle domande viene respinto per irregolarità o carenza di requisiti, e spesso si racconta di stratagemmi che si ripetono in un’Italia divisa tra chi sopravvive e chi abusa del sistema.
Pensioni assistenziali e il nodo delle riforme: tra tagli e innovazione
Il governo prova a navigare tra emergenza e razionalizzazione, cercando di non spezzare la rete che regge milioni di vite ma di ridurre gli abusi: la Legge di Bilancio 2023 ha inasprito i controlli, introducendo incroci con i dati fiscali e l’obbligo di aggiornare lo stato civile, una stretta che ha portato al blocco di oltre 34.000 prestazioni e alzato un polverone politico. “Così si colpiscono i vulnerabili, non i furbi” accusa la sindacalista Carla Esposito, mentre il governo rivendica la necessità di “moralizzare” il sistema senza demonizzarlo.
Intanto, sperimentazioni come il “Reddito di Autonomia” in Lombardia – che abbina il sussidio a corsi di formazione e tirocini – mostrano strade alternative, ma restano casi isolati: la vera sfida è trovare un equilibrio tra equità e risorse e se l’Europa spinge per modelli universalistici come il Basic Income, l’Italia arranca e solo il 18% dei Comuni offre servizi sociali efficienti.
“Serve un patto tra Stato e territori” insiste l’economista Chiara Saraceno: “Le pensioni assistenziali siano l’ultima rete, non l’unica”. Alcuni Paesi, come la Germania, integrano i sussidi con voucher per affitto e trasporti, riducendo sprechi e incentivando la mobilità sociale; un modello che guarda alla persona, non solo al numero sulla carta.
Pensioni assistenziali e il futuro: tra algoritmi e umanità
Nel 2025, l’INPS lancerà una piattaforma IA per incrociare dati e prevenire frodi, un passo inevitabile nell’era digitale ma che apre a interrogativi etici: “Un algoritmo non misura il dolore” ammonisce don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana, ricordando che dietro ogni pratica c’è una storia. L’invecchiamento della popolazione, poi, aggrava la pressione: entro il 2040, gli over 75 bisognosi di assistenza raddoppieranno, toccando 2,4 milioni, e la domanda di pensioni assistenziali esploderà in proporzione.
La soluzione? “Servono politiche attive: asili nido per liberare le donne, incentivi alle assunzioni over 50, investimenti seri in servizi”, propone il demografo Alessandro Rosina, rimarcando che il welfare non può essere solo un assegno, ma il tempo stringe e mentre la politica discute, migliaia di italiani restano sospesi tra dignità e assistenzialismo.