Pierina Paganelli è stata uccisa da qualcuno che conosceva, secondo la Procura di Rimini proprio dal vicino di casa Louis Dassilva, 35enne senegalese amante della nuora Manuela Bianchi. È lui l’unico finora indagato per l’omicidio della 78enne, avvenuto la sera del 3 ottobre 2023 nei garage sotterranei del condominio in cui entrambi vivevano, in via del Ciclamino, ed è in carcere dal 16 luglio scorso sulla base di una costellazione di elementi ritenuti gravi e concordanti da chi indaga. Il tutto al netto delle analisi sul materiale genetico repertato.
Per l’accusa, infatti, l’acclarata assenza del Dna di Louis Dassilva sulla scena del crimine e sul corpo della vittima non implica automaticamente che sia estraneo al delitto. Il fatto che non vi siano tracce biologiche a lui riconducibili, tra i 4 profili ignoti isolati dagli investigatori, non esclude un suo coinvolgimento nell’uccisione dell’anziana.
Sgombrando il campo da ogni ipotesi sull’identità del killer di Pierina Paganelli, è certo che potrebbe essersi organizzato per non lasciare niente al caso e anzitutto per evitare di “rilasciare” la sua firma munendosi di guanti, occhiali, calzari, forse di una tuta per non contaminare i propri indumenti nonostante l’efferata dinamica omicidiaria (29 coltellate sferrate in rapida successione).
Pierina Paganelli, i cardini dell’impianto accusatorio a carico di Louis Dassilva (al netto del Dna)
Secondo quanto ricostruito dal Resto del Carlino, sarebbero 12 gli indizi che per la Procura di Rimini portano a Louis Dassilva quale presunto autore dell’omicidio di Pierina Paganelli. Cardini di un impianto accusatorio che, pur in assenza di Dna dell’indagato sulla scena, per gli inquirenti apparirebbe robusto e capace di reggere alle numerose eccezioni della difesa.
Di questo, riporta Il Corriere della Romagna, sono convinti anche gli avvocati Monica e Marco Lunedei, legali che assistono i figli di Pierina Paganelli: “In genetica forense, l’assenza della prova non è prova dell’assenza nel senso che trovare il Dna di un indagato sulla vittima è prova della sua presenza sul luogo del delitto, ma l’assenza del Dna non può costituire prova del fatto che egli non fosse comunque presente“.
Al netto del Dna, quindi, partendo proprio da questo ultimo principio gli investigatori avrebbero in mano ben altro, avendo raccolto una serie di elementi in grado di produrre un’architettura solida a carico del 35enne senegalese. Una premessa necessaria, hanno sottolineato gli avvocati, è senza dubbio il fatto che parte dei reperti chiave – cioè gli indumenti di Pierina Paganelli – presentano un cattivo stato di conservazione al punto da essere stati aggrediti da muffe che possono aver cancellato tracce dirimenti per l’inchiesta.
In estrema sintesi, gli indizi contro Louis Dassilva hanno una “vita propria” indipendentemente dalla presenza o meno del suo materiale biologico sulla scena e sono in grado di tenere in piedi l’impianto accusatorio.
Quali sono? Anzitutto il video della Cam3 della farmacia di via del Ciclamino che, secondo gli investigatori, avrebbe immortalato il passaggio dell’indagato in orario compatibile con i minuti immediatamente successivi al delitto (sul punto si attende l’esito dell’esperimento giudiziale disposto in sede di incidente probatorio). Poi i presunti depistaggi messi in atto da Dassilva, come il non aver consegnato subito alle autorità i vestiti indossati quel giorno e un paio di scarpe che prima sarebbero state “lavate con abbondanza di sapone” (come emergerebbe da una intercettazione tra il 35enne e sua moglie, Valeria Bartolucci).
C’è poi l’intercettazione in questura di una conversazione tra Manuela Bianchi e Louis Dassilva, dialogo in cui la donna gli chiede “rassicurazioni” sul loro rapporto e sul fatto di non dover “temere” nulla. Il movente dell’omicidio, cioè il fatto che, secondo chi indaga, Louis Dassilva avrebbe avuto un motivo “forte” per uccidere Pierina Paganelli in quanto la 78enne sarebbe stata considerata un ostacolo e un pericolo per la relazione clandestina con la Bianchi e per la stessa sopravvivenza dei rispettivi equilibri familiari.
A questi elementi si sommerebbe l’assenza di un alibi, perché quello fornito dalla moglie dell’indagato è ritenuto inconsistente. Poi l’altezza del killer di Pierina Paganelli e le modalità di esecuzione del delitto, che sarebbero compatibili con la corporatura dell’indagato e con la sua pregressa preparazione militare in Senegal. Altro indizio sarebbe rappresentato dall’assenza di interazioni sul telefono e gli altri dispositivi in uso a Dassilva nella finestra temporale dell’omicidio di Pierina Paganelli.