Il World economic forum ha confermato la determinazione di Donald Trump nel voler far crescere l’economia americana e nell’imporre dei cambiamenti all’Unione europea così da riequilibrare una bilancia commerciale tra le due sponde dell’Atlantico giudicata penalizzante dal Presidente degli Stati Uniti, pronto anche a introdurre dazi sulle produzioni del Vecchio continente. Da Davos è arrivato anche l’annuncio, da parte di Ursula von der Leyen, della presentazione questa settimana, come primo atto del nuovo Esecutivo di Bruxelles, della “bussola della competitività”, una strategia volta a cambiare l’Ue in un contesto di importanti cambiamenti globali. Secondo Gustavo Piga, professore di economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, può essere utile confrontare il discorso di Trump seguito al suo insediamento con le parole della Presidente della Commissione europea al Wef: ne emergono due visioni politiche piuttosto differenti.
Che tipo di confronto tra i due discorsi ritiene interessante?
In primo luogo, un confronto di tipo semantico. Le parole più utilizzate (18 volte) dalla von der Leyen sono state mercato e concorrenza, che Trump non ha usato. Il Presidente Usa si è invece spesso riferito al potere dello Stato: ha fatto ricorso per ben 50 volte alle parole nazione, Paese e Governo, che la Presidente della Commissione europea, anche per come è istituzionalmente disegnata l’Ue, non ha pronunciato.
Qual è il bilancio di questo confronto?
Affidarsi ai mercati vuol dire scegliere di mettersi nelle mani di qualcun altro, mentre far riferimento al potere dello Stato significa mostrarsi molto operativi. Non a caso il discorso della von der Leyen è apparso più tecnico. Ha anche presentato i tre pilastri di quella che ritiene la strategia per far svoltare l’Ue, ovvero la “bussola della competitività”. Il primo, e quindi più importante, è la creazione di un mercato europeo dei capitali profondo e liquido. Mettiamoci nei panni di un elettore europeo medio: cosa avrà potuto capire? Anche se sapesse il significato di mercato dei capitali liquido, come potrà pensare che questo possa cambiare in meglio la sua situazione? Gli altri due pilastri riguardano la volontà di rendere meno costoso fare impresa, che può essere positivo, e la realizzazione di un grande piano per un’energia più pulita e a buon mercato. Di fronte a questo piano viene da chiedersi: dove sono i valori?
Valori è una parola che la von der Leyen ha utilizzato nel suo discorso a Davos…
Sì, ha fatto riferimento tre volte ai valori europei, ma senza spiegare quali siano. E questa cosa è terribile. Non si vede, in ogni caso, nelle sue parole una preoccupazione per i più deboli. Ha usato la parola lavoro una sola volta, mentre Trump otto. Il Presidente degli Stati Uniti ha citato tre volte anche la sanità e l’istruzione: possibile che parlando del futuro dell’Ue la von der Leyen non abbia sentito il bisogno di menzionarli? È evidente che da questo confronto emergono dei segnali preoccupanti sulla debolezza anzitutto politica, prima ancora che economica, dell’Europa.
Insomma, da questo confronto esce vincitore Trump.
Non sono trumpiano, ma credo che nel discorso del Presidente americano ci sia qualcosa di necessario, anche se non sufficiente, per poter progredire e che penso dovremo far nostro in Europa: una forte attenzione alle esigenze della gente comune. Nel Rapporto Draghi si dice che l’Ue è economicamente lontana dagli Usa, ma lo sarà ancora di più se attuerà una strategia che non ha le persone più deboli al centro. Questa strategia non potrà che avere scarso impatto e generare momenti di protesta o di rivolta. Dovremo chiederci se in Europa non sia stato abbandonato il modello di sviluppo economico sociale a favore di un semplice modello tecnico liberista che ovviamente non scalda il cuore delle persone, come poi si vede dai risultati elettorali.
Più nel merito di quanto illustrato dalla Presidente della Commissione europea, come giudica la “bussola della competitività”?
Esistono due tipi di competizione: quella tra grandi trust, tra grandi imprese che si fanno concorrenza tra di loro, presa a modello dall’Ue, e quella presente negli Stati Uniti, che mira a non creare barriere all’ingresso per le piccole imprese, cui, per esempio, si riserva una quota degli appalti, di modo che non debbano competere con le grandi in una gara che sarebbe impari. È chiaro, quindi, che il modello di competitività che ha in mente l’Ue non ci rafforza.
Perché?
Il tessuto imprenditoriale europeo è costituito per la grandissima parte da Pmi che hanno subito 15 anni fa politiche austere che ne hanno fatto scomparire una parte, come avvenuto in Italia. Nella strategia illustrata dalla von der Leyen non viene posta alcuna enfasi su di esse che sono quelle che hanno più bisogno di aiuto e di politiche industriali per crescere. Negli Usa, invece, tramite lo Small Business Act e la Small Business Administration, ci si preoccupa di rendere il tessuto competitivo favorevole alle piccole imprese, da cui tipicamente possono arrivare nuove idee favorevoli allo sviluppo complessivo dell’economia. La “bussola della competitività” potrà anche favorire le Pmi, ma relativamente parlando non le favorisce di più, come invece avviene negli Stati Uniti per venire incontro al loro naturale gap di competitività. È in ogni caso un provvedimento che non appare prioritario rispetto alle esigenze del nostro continente.
Non è, quindi, il primo provvedimento che la nuova Commissione dovrebbe presentare vista la situazione…
Esattamente. Oppure dovrebbe presentarlo insieme a qualcos’altro. Basta guardare a quello di cui né Trump, né la von der Leyen hanno parlato: la politica fiscale. Forse non l’hanno fatto perché non ce n’è bisogno, perché ambedue credono che le cose su questo fronte debbano restare come sono. Con la grande differenza che in Europa continuerà a esserci una politica fiscale austera, mentre negli Stati Uniti, come in Cina, si farà ampio ricorso al deficit per finanziare gli investimenti pubblici che rafforzano l’economia.
In questi giorni si continua a parlare della risposta che l’Ue dovrebbe dare alle minacce di Trump sui dazi. Secondo lei, quale potrebbe essere questa risposta?
Credo che la risposta a questa domanda si possa cercare nel discorso della von der Leyen, dove gli Stati Uniti vengono menzionati soltanto cinque volte, mentre la Cina quattordici. L’Ue sembra in cerca di nuovi alleati. Del resto, come dicevo all’inizio a proposito dell’utilizzo della parola mercato da parte della Presidente della Commissione europea, l’idea di fondo di Bruxelles, a differenza di quella di Washington, appare quella di mettersi nelle mani di qualcun altro. Il sospetto, anche se non v’è alcun riferimento specifico in merito, è che si sia pronti a sostituire gli Usa con la Cina. Se questa fosse la risposta a Trump, sarebbe a mio avviso errata, con tutto il rispetto che nutro per il gigante asiatico e considerando importante la riapertura in corso degli scambi culturali con esso. Non si può, infatti, pensare che la Cina giocherebbe lo stesso ruolo a favore dell’Europa nei prossimi 10-15 anni che giocherebbero gli Stati Uniti.
(Lorenzo Torrisi)
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