Suicidi e rivolte in carcere, soprattutto a causa del problema del sovraffollamento, impongono una riflessione secondo Fabio Pinelli. Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm) ne ha parlato a Il Foglio, spiegando che le risposte devono essere “equilibrate” e tenere conto delle esigenze non solo di tutela della collettività, ma anche di “umanizzazione della pena“. Nell’intervista parte dai dati a disposizione, segnalandone in particolare uno che ritiene tra i più preoccupanti: tra i suicidi ve ne sono 9 di persone con una pena residua interiore a 3 anni, perché in questi casi, se non ci sono ragioni ostative, allora si possono ottenere misure alternative al carcere.
Alla luce di ciò, secondo Pinelli ciò vuol dire che questi detenuti sono rimasti soli e non hanno avuto neppure un legale che gli consigliasse di richiedere la misura alternativa. Per Pinelli è la società civile a dover promuovere percorsi che reintegrino i detenuti. Non farlo può contribuire a un aumento del tasso di recidiva secondo il numero due del Csm. L’auspicio è che prevalga una cultura che non sia carcerocentrica, in modo tale che per reati meno gravi e in caso di pene non lunghe si possa puntare su misure diverse.
PINELLI: ECCO QUALE RIFORMA DELLA GIUSTIZIA SERVE
La questione è anche culturale per Fabio Pinelli, che infatti suggerisce di riflettere sul ruolo del diritto penale, che va rivista in maniera profonda, perché i conflitti sociali non possono essere risolti solo nelle aule. Ma va anche rivisto il rapporto tra sanzioni pecuniarie e detentive. Chiaramente le azioni competono alla politica, ma da giurista avanza dei suggerimenti. Di sicuro, costruire più carceri non può essere la soluzione per Pinelli, visto che vanno resi in primis vivibili, invece vanno introdotte nuove misure alternative e di espiazione della pena.
Per il vicepresidente del Csm il carcere non è “una avanzata scuola del crimine” e l’introduzione di nuovi reati aggraverà la situazione, quindi bisogna puntare sulla “rieducazione del condannato“. In questi giorni, però, Pinelli ha fatto parlare anche per la linea dura che è passata in merito alla vicenda del pm che vessava la moglie.
IL CASO DEL PM CHE VESSAVA LA MOGLIE: ESPULSO
La vicenda riguarda quella di un magistrato che vessava la moglie giudice: nei mesi scorsi la Sezione disciplinare lo ha espulso, ma la procura generale della Cassazione aveva suggerito la perdita di anzianità di un anno, quindi una misura più blanda. Peraltro, alla fine dell’iter processuale, il pm è stato condannato a una pena modesta, cioè a un anno di carcere, con la condizionale, nonostante un lungo catalogo di mortificazioni, su cui ci sono anche testimonianze. Una sanzione soft con uno sconto importante per la scelta del rito abbreviato e il riconoscimento delle attenuanti generiche.
Ma come evidenziato da Il Giornale, il caso non è caduto nel nulla, perché la Disciplinare del Csm ha rotto lo schema corporativo e stabilito che quel magistrato non può indossare la toga. Pinelli, che è anche numero uno della Disciplinare, ha aperto un nuovo corso che abbina al garantismo il rispetto delle regole, che però non consentono eccezioni. Il verdetto in questione, dunque, è in linea con il nuovo corso lanciato da Pinelli.