Irene Pivetti torna a raccontarsi sulle pagine del Tempo: gli inizi in politica al fianco di Bossi, le rivoluzione liberale e le accuse di evasione
Storico volto della Lega quando era ancora solo “lombarda”, nonché seconda donna alla guida della Camera, Irene Pivetti oggi combatte duramente per affermare la sua completa e assoluta innocenza da un’accusa di evasione fiscale e autoriciclaggio che potrebbe costarle – qualora, ovviamente, fosse condannata – 4 anni di reclusione e in una lunga intervista con il Tempo ha voluto ripercorrere la sua carriera politica (della quale rivendica tutto, senza pentirsi di nulla) e la battaglia in tribunale.
Partendo proprio da qui, Irene Pivetti al quotidiano romano ha voluto ribadire – ancora una volta – che “sono innocente” e prima o poi riuscirà a dimostrarlo, ricordando che le accuse sono basate su “una normalissima attività di impresa” per la quale “ho pagato le tasse” tenendo meticolosamente tutti i “libri contabili”: questi, però, – ha ricordato Pivetti – sono stati esclusi dagli inquirenti perché secondo i PM “non sono oggetto di questa indagine”.
Al di là della sua innocenza, comunque, Irene Pivetti ci tiene a descrivere con grande affetto il lavoro all’interno di una cooperativa che è stata costretta ad accettare dopo le prime accuse, ricordando che in quel periodo si sentì “sola come un cane, calunniata” e anche confusa da tutto quello che le stava capitando: una situazione certamente brutta, ma che ritiene essere anche una “lunga prova” che il Signore le ha chiesto di affrontare per renderla “più forte” e insegnarle ad “amare di più”.
Irene Pivetti: “Umberto Bossi seppe trasformare il consenso popolare in una grande rivoluzione liberale”
Mettendo da parte gli screzi giudiziari, Irene Pivetti ha raccontato che inizialmente – negli anni ’80 – non nutriva alcun interesse politico, almeno fino a quando non comparve “la Lega lombarda” e decise (come avrebbe detto Berlusconi) di scendere in campo: scrisse un “beve saggio di analisi della Lega” che inviò a Umberto Bossi in persona, ottenendo una convocazione nel suo – allora – piccolo ufficio milanese in cui le chiese di occuparsi della comunicazione con i Cattolici.

L’occasione propizia per la Lega – ricorda ancora Pivetti – arrivò quando la DC decise di “suicidarsi” da sola “trasformandosi in Partito popolare”, mentre Bossi sfruttò una comunicazione talvolta “becera” per far sì che tutti sottovalutassero “il suo potenziale”, dando il via a quella che definisce la “grande rivoluzione popolare” che si intrecciò con la “rivoluzione liberale di Berlusconi”; prematuramente – ammette Pivetti – interrotta dallo stesso Bossi che fece cadere il primo governo Berlusconi “dopo soli otto mesi”.
Del panorama politico odierno, Pivetti confessa di nutrire una profonda stima per tutti coloro – senza fare nomi – che hanno il “coraggio di trascurare i social” per dedicare la loro attenzione alle piazze italiane; mentre a Meloni elogia la sua “intelligenza e determinazione”, oltre alla “grande attenzione all’economia reale”: certo è – sempre secondo Pivetti – che allo stato attuale non la vedrebbe bene al Colle, soprattutto perché con il premierato diventerebbe “ornamentale” e dubita che “voglia già pensionarsi”.
