La nuove serie tv "Pluribus", senza troppo clamore, tenta qualcosa di grande: non solo racconta un futuro possibile, ma parla del nostro presente
Pluribus, la nuova serie in corso su Apple TV+, è uno di quei progetti che arrivano senza particolare clamore e poi, episodio dopo episodio, ti rendi conto che stanno tentando qualcosa di grande: non solo racconta un futuro possibile, ma restituisce un’immagine chiarissima del nostro presente.
È fantascienza, certo. Ma è soprattutto una riflessione, elegante e inquietante, sulla fragilità dell’individuo in un mondo che tende a dissolverlo nella massificazione culturale in atto da decenni. Merito di Vince Gilligan (X-Files, Breaking Bad, Better Call Saul), ideatore di tutto rispetto, che ha con coraggio proposto qualcosa di nuovo.
Carol Sturka – una scrittrice di successo, ma che ama poco i suoi libri da “cassetta”, destinati esclusivamente a un pubblico di fan – appena tornata dall’ennesimo tour nella sua casa di Albuquerque finisce al centro di una sconvolgente catastrofe che sembra aver colpito l’umanità. Attraverso un segnale radio arrivato dal cosmo un virus apparentemente innocuo ha infettato praticamente tutto il genere umano, a esclusione di 12 persone, tra cui ovviamente Carol.
Giorno dopo giorno risulta sempre più chiaro che chi ha inviato il virus aveva lo scopo di sconvolgere il nostro pianeta, trasformando ogni essere vivente in un terminale di un unico soggetto collettivo.
L’idea di fondo è semplice e potentissima: una società in cui l’uniformità non è soltanto un ideale, ma diventa la struttura politica dominante. Le identità svaniscono in nome di un principio superiore, l’obiettivo è porre fine alle guerre e alle violenze, applicare un rispetto totale della natura e di ogni essere vivente. La promessa è un mondo più ordinato e gentile; il prezzo, naturalmente, è tutto ciò che ci rende umani.
La serie Pluribus non usa toni apocalittici, né fuochi d’artificio narrativi: preferisce una costruzione lenta e magnetica, giocata su atmosfere sospese, dialoghi inaspettati e un mondo mai visto, che sembra ipnotizzato da una perfezione inquietante.
È proprio in questo equilibrio tra racconto fantascientifico e allegoria morale che Pluribus trova la sua forza: parla di clonazione sociale, di algoritmi che decidono per noi, di gusti e comportamenti modellati da un consenso invisibile. È impossibile non vedere, dietro ogni episodio, un commento sulla nostra epoca, su quello che accade intorno a noi.
Il grande valore aggiunto, però, è la protagonista Rhea Serhorn (la straordinaria Kim di Better Call Saul) che interpretata Carol con impressionante efficacia: una donna disposta a battersi per la sua indipendenza e che si accorge, prima degli altri, che qualcosa non torna.
Il suo personaggio è costruito come una crepa in un muro perfetto: è l’unica che si rifiuta di sottoporsi all’obbedienza, quella docile accettazione che rende credibile il mondo di Pluribus, ma progressivamente lascia emergere un’irrequietezza profonda, una sete di autenticità e la volontà di organizzare la resistenza, che la rende il vero cuore emotivo della serie Pluribus.
L’attrice lavora su un personaggio in fondo già antipatico di suo, reso ancora più insopportabile in un contesto dove appare in fondo come una privilegiata. È una performance originale, ma proprio per questo memorabile.
Man mano che la storia procede, Pluribus abbandona la semplice curiosità fantascientifica e si allarga a una meditazione sulla cultura attuale: l’omologazione come antidoto alla complessità, la ripetizione come conforto, l’illusione che diventare simili renda tutto più facile.
La serie Pluribus non accusa, non urla, non fa la morale: mostra. E nel mostrare costringe lo spettatore a un piccolo gesto di coraggio: riconoscersi, magari anche non su tutto e per tutto, in quel mondo che oggi sembra prevalere e che rifiuta la diversità perché richiede troppo lavoro, troppo tempo, troppe sfumature.
Il risultato è un racconto limpido, sorprendentemente emotivo, che riesce a essere al tempo stesso intrattenimento e lente d’ingrandimento sul nostro modo di vivere. Pluribus non si limita a immaginare un futuro possibile: lo usa come metafora per ricordarci che la vera rivoluzione, oggi, passa dalla difesa delle individualità. E questo, in un panorama televisivo spesso più attento alla moda del momento, è già un atto politico.
Una serie, Pluribus, che vale la visione e che merita di essere seguita fino alla fine.
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