TV/ Togliere i privilegi a Sky non è reato di lesa maestà alla classe operaia. Qualcuno lo spieghi alla sinistra…
Non ha torto chi rileva che difficilmente il conflitto d’interessi del Presidente del Consiglio si sarebbe potuto palesare in modo più brutale. Chi, in una situazione in cui a tal punto le ragioni si confondono, riesce nell’impresa di avere solo torto è il placido Walter Veltroni

Quella dell’IVA sulla pay TV è la classica vicenda in cui tutti hanno ragione epperò tutti hanno torto. Non vi è dubbio che le preoccupazioni che nel 1991 avevano indotto il ministro Formica a concedere un’aliquota ridotta, già risibili allora, oggi non sussistano più.
Sky non è naturalmente la Telepiù di allora, ma un’impresa solida che ha aperto un mercato ricco e in continua crescita. Va tenuto conto che a essere posti in una condizione di sbilancio competitivo dall’imposizione agevolata di Sky non sono tanto e solo le altre emittenti televisive, quanto le numerose forme di svago alternative, a cominciare dall’industria dei dvd, che comprensibilmente festeggia l’operazione. La revoca del privilegio appare, insomma, senz’altro un’opzione ragionevole.
Ciò detto, non ha torto chi rileva che difficilmente il conflitto d’interessi del Presidente del Consiglio si sarebbe potuto palesare in modo più brutale. Se, rigorosamente, potremmo concedere che il gruppo di Murdoch e le tv commerciali del biscione non sono concorrenti diretti, non va dimenticato che – con l’offerta Premium sul digitale terrestre – Mediaset ha messo nel mirino proprio la tv satellitare di Sky, con risorse ed efficacia ancora limitate, ma con un’evidente chiarezza d’intenti. A ciò si aggiunga la singolare tempistica di un provvedimento che compare in un decreto legge volto ad arginare gli effetti della crisi finanziaria, ma della cui urgenza appare lecito dubitare, anche in virtù del modesto incremento di gettito che ne deriverà per l’erario.
Infine, si può osservare che la decurtazione imprevista di oltre metà degli utili – a dar ascolto alle stime diffuse (che, pure, non considerano la probabile traslazione sui consumatori) – non è precisamente il modo classico in cui le economie di mercato ricompensano le imprese che hanno creato ricchezza innovando in misura considerevole il proprio settore di competenza (l’asfittico panorama televisivo nostrano). Est modus in rebus, insomma, e vi sono certo modi sbagliati di combattere battaglie giuste.
Chi, in una situazione in cui a tal punto le ragioni si confondono, riesce nell’impresa di avere solo torto è il placido Walter Veltroni. Il suo tentativo grottesco di contrabbandare il calcio o i documentari di History Channel per l’ultimo orizzonte della rivoluzione proletaria la dice lunga sulla strada che il nostro dibattito pubblico deve percorrere per raggiungere un livello minimo di urbanità.
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