In una campagna elettorale fin troppo low profile, c’è un tema che più di altri appare clamorosamente assente: quello del federalismo. Nessuno ne parla, tranne ovviamente la Lega di Umberto Bossi. Come se a nessuno importasse. Eppure, il Rapporto sulla Sussidiarietà 2007 ha mostrato una diffusa richiesta di riforme istituzionali, orientata a un definitivo riassetto dello Stato in senso federale: a titolo di esempio, il 67% degli italiani si è dichiarato favorevole a un più incisivo trasferimento di poteri verso le Regioni, mentre il 60% vorrebbe il federalismo fiscale.
L’assenza di dibattito sul tema appare tanto più grave quanto più si osservano i limiti dell’attuale configurazione istituzionale. Interessanti da questo punto di vista sono i dati contenuti nella ricerca di Unioncamere Veneto sul tema “Spesa pubblica e decentramento”, pubblicati qualche giorno fa e passati rigorosamente sotto silenzio.
Confrontando i dati di spesa delle Regioni e dell’amministrazione centrale dello Stato, si scopre così che lo Stato utilizza il 56% dei dipendenti pubblici per gestire il 24% della spesa pubblica italiana, mentre gli enti locali impiegano il 36% del personale per gestire invece il 42% della spesa. Peraltro dal 2001 al 2006 la distribuzione dei dipendenti pubblici tra i differenti livelli di governo non è cambiata: circa 2 milioni nell’amministrazione centrale, circa 700mila in quelle periferiche. Eppure sono stati anni di intenso decentramento, dapprima attraverso le Leggi Bassanini di fine anni ‘90, in seguito grazie alla riforma del Titolo V della Costituzione che ha trasferito alle Regioni molte competenze precedentemente di spettanza statale. Nell’insieme, dunque, un consistente spostamento di potere, che non ha però intaccato minimamente l’elefantiaca macchina pubblica centrale.
Oltretutto, questo decentramento incompiuto appare gravato dal pessimo modo di finanziare le Regioni, che ricevono i soldi dallo Stato non in base alle effettive necessità, ma attraverso il meccanismo perverso della spesa storica: chi più ha speso in passato, più incassa oggi. Il risultato, forse scontato, è la più totale mancanza di efficienza: chi percepisce più soldi senza averne effettivamente bisogno è anche chi spende di più per il personale. Così tra le 11 Regioni che ricevono più risorse ve ne sono ben 9 che spendono più della media per il personale. Un esempio particolarmente eclatante è il Molise, che riceve dallo Stato 174 euro per ogni abitante e ne spende per il proprio personale ben 360. All’opposto, la Lombardia riceve invece 65 euro pro capite, ma ne spende soltanto 52 per pagare i propri dipendenti, drasticamente ridotti negli ultimi dieci anni fino a raggiungere la quota record di soli 38 ogni 100mila abitanti (contro i 50 del Nord e i 67 della media nazionale). Una conferma di efficienza clamorosa, che spiega ancora di più come sia possibile per la Lombardia essere la Regione più virtuosa d’Italia nel rapporto tra entrate e spese, come aveva ricordato lo scorso anno un altro ottimo rapporto di Unioncamere Veneto sul tema “I costi del non federalismo”.
Trova dunque ancora una volta conferma l’evidente inefficienza dello Stato centrale e del meccanismo di decentramento attualmente in vigore. Evidenze che diventano più chiare se confrontate con quanto accade nella Germania federale. Qui infatti solo l’11% dei dipendenti pubblici sono impegnati nelle amministrazioni centrali, e ben il 45% lavora invece nei Länder. Il tutto “condito” con la capacità di ridurre il pubblico impiego di oltre il 7%, la qual cosa ha permesso di far scendere la spesa per il pubblico impiego dall’8,7% al 7,2% del Pil (mentre in Italia da dieci anni rimane più o meno stabile attorno all’11%).
La morale della favola, secondo Unioncamere Veneto, è che se l’Italia adottasse il sistema federale tedesco risparmierebbe 27 miliardi di euro, pari all’1,8% del Pil. Più o meno quanto ci manca per raggiungere il livello di spesa sociale destinata alla famiglia dal governo tedesco. Come dire: se fossimo davvero federali, tutti starebbero molto meglio.