Le ragioni di un sì alle “linee guida” lombarde sulla 194
Riccardo Marletta, componente del Consiglio Direttivo Nazionale Libera Associazione Forense, mostra il modello lombardo di attuazione della legge 194/1978, bocciato recentemente dal Tar
Bocciato (almeno per ora) dal TAR, il modello introdotto dalla Regione Lombardia con l’atto di indirizzo per l’attuazione della legge n. 194/1978 (meglio noto con la denominazione impropria di “linee guida”) potrebbe essere adottato su scala nazionale.
La disposizione di maggior rilievo contenuta nelle “linee guida” lombarde riguarda il termine entro il quale è possibile effettuare l’interruzione della gravidanza nei casi di patologie che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Sul punto la legge n. 194/1978 si limita a prevedere che in questa eventualità non si possa interrompere la gravidanza «quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto», senza tuttavia individuare il termine a partire dal quale si può ritenere esistere tale «possibilità di vita autonoma».
Il legislatore aveva evidentemente ritenuto che il progresso scientifico avrebbe consentito, come in effetti è avvenuto, di anticipare sempre di più il momento a partire dal quale è possibile la “vita autonoma” del nascituro e che pertanto non fosse opportuna la fissazione in sede legislativa di tale termine.
Tuttavia, secondo quanto affermato dal TAR Lombardia nell’ordinanza n. 707/2008 con cui è stata sospesa in via cautelare l’esecuzione dell’atto regionale di indirizzo (avverso la quale la Regione Lombardia ha annunciato ricorso in appello al Consiglio di Stato), le “linee guida” in questione si occuperebbero di materie rientranti nella competenza dello Stato e comunque le regioni non potrebbero adottare atti amministrativi su alcuno degli ambiti applicativi della legge n. 194/1978.
In realtà, a prescindere dal rilievo che, come è noto, diverse altre regioni sono intervenute su aspetti disciplinati dalla legge assumendo ad esempio iniziative in tema di aborto farmacologico, è da notare che la legge n. 194/1978, all’articolo 1, riconosce alle regioni (oltre che allo Stato e agli enti locali) l’importante funzione di promuovere e sviluppare le «iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite».
In questi giorni da più parti si è chiesta una revisione (o quanto meno una verifica) della legge n. 194/1978 e ciò appare più che ragionevole in considerazione del fatto che il contesto socio-culturale e il panorama scientifico sono indubbiamente diversi rispetto a 30 anni fa.
L’auspicio è che in quella sede vengano adeguatamente valorizzate le iniziative, anche delle regioni e degli enti locali, finalizzate alla tutela della vita umana, che è uno degli scopi primari che si prefigge la legge n. 194/1978.
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