FEDERALISMO/ Ecco perchè le regioni “virtuose” tengono tutti col fiato sospeso…

- Romano Colozzi

Il federalismo fiscale, sta pian piano prendendo corpo. ROMANO COLOZZI, assessore alle Finanze della Regione Lombardia e coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni, spiega i prossimi passaggi

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Dopo il decreto sul cosiddetto federalismo demaniale e quello attuativo del Capo III della legge 42/2009, sul federalismo fiscale per comuni e province, il Governo si appresta ad approvare il decreto legislativo sui costi standard in sanità.

La bozza, che da alcuni giorni è stata fatta circolare dal Governo, dà parziale attuazione a quanto previsto dal quinto comma dell’art. 2 della legge 42, affrontando il tema dei costi standard in sanità, ma tralasciando completamente il tema della standardizzazione dei costi per quanto riguarda le altre materie riferibili alla lettera m) dell’art. 117 della Costituzione (assistenza e istruzione) e alla spesa in conto capitale per il trasporto pubblico locale (v. artt. 8 c. 3 e 9, c. 1 lett. f) della legge 42), che dunque dovranno essere affrontati con successivi decreti, previa puntuale definizione dei livelli essenziali di prestazioni (LEP) da finanziare.

Per giungere alla formulazione del decreto sui costi sanitari, è stato invece possibile partire da una già avvenuta e consolidata definizione dei livelli essenziali di assistenza e da un avanzato sistema di monitoraggio dei costi e delle prestazioni, messo a punto dal Tavolo di monitoraggio della spesa sanitaria, istituito dal primo Patto della salute, che ha portato negli ultimi anni ad una sostanziale omogeneizzazione della rappresentazione contabile della spesa sanitaria nelle diverse regioni, pur rimanendo alcune significative asimmetrie informative fra diverse aree del Paese.

Il confronto sulla bozza inizierà in Conferenza delle Regioni nei prossimi giorni, per giungere ad un immediato incontro con il Governo, perché è evidente che su un tema così delicato è necessario arrivare ad una condivisione ampia, per evitare traumatiche lacerazioni nel Paese e fra istituzioni.

Mi sembra che il testo messo a punto dal Governo, pur necessitando di precisazioni e integrazioni, rappresenti una corretta e realistica base di confronto, sostanzialmente in linea con principi che nei diversi Patti per la salute sottoscritti negli ultimi anni hanno trovato una ampia condivisione.

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Essendo la materia trattata molto tecnica, non posso in questa sede entrare in questioni e dettagli che pure saranno al centro del dibattito fra i Presidenti (che immagino sarà piuttosto acceso), limitandomi ad alcune prime osservazioni sui punti essenziali del decreto:

 

Non è facilmente comprensibile la decorrenza dell’efficacia del decreto a partire dal 2013. Ritengo che essa possa essere anticipata al 2012 come prima applicazione, così da avere già acquisito importanti elementi conoscitivi nel 2013 al momento del rinnovo del Patto della salute, in cui dovrà confluire una serie di impegni conseguenti alla definitiva applicazione del nuovo modello;

 

Prendere a riferimento il secondo anno antecedente per l’individuazione delle regioni benchmark è discutibile e potenzialmente fuorviante. Molto più corretto e logico il riferimento ad almeno un triennio, così da ridurre gli impatti di eventi straordinari e fotografare situazioni di effettiva stabilità e rispetto delle regole;

 

La nuova formulazione del meccanismo per l’individuazione delle tre regioni benchmark appare piuttosto confusa e non ben motivata, dando la sensazione di rimandare ad una sorta di mediazione politica fra Regioni e fra Governo e Regioni una scelta che deve essere fatta in base a oggettivi criteri quali-quantitativi;

 

La modalità con cui l’art. 2 prevede la determinazione del fabbisogno sanitario standard conferma, coerentemente con quanto affermato nella Nota sui costi standard approvata dalla COPAFF, che esso è determinato, all’interno del quadro macroeconomico e dei vincoli di finanza pubblica, dalla erogazione dei LEA, non lasciando spazio a chi avrebbe voluto usare i costi standard per giungere alla riduzione del Fondo sanitario nazionale; tuttavia il decreto dovrebbe meglio esplicitare che ad una eventuale riduzione delle risorse deve corrispondere una coerente ridefinizione dei LEA;

 

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Il decreto, molto realisticamente, deve purtroppo prendere atto di enormi lacune nei sistemi informativi di alcune regioni e si limita ad individuare come benchmark di appropriatezza ed efficienza tre grandi macroaggregati per il finanziamento della spesa sanitaria: il 5% per l’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, il 51% per l’assistenza distrettuale e il 44% per l’assistenza ospedaliera. E’ evidente che per attivare un sistema credibile ci sarebbe bisogno di una serie ben più analitica di indicatori oggi non disponibili: questa è una lacuna da colmare in tempi rapidissimi, ma ritengo indispensabile che da subito si operi l’integrazione di almeno due indicatori: la spesa farmaceutica territoriale e il costo del personale. Così come il decreto dovrà prevedere dei meccanismi di premialità collegati agli indicatori benchmark di efficienza ed appropriatezza.

 

Le prime reazioni di alcuni Presidenti alla bozza di decreto hanno dato l’impressione di un prevalere di un atteggiamento di preoccupazione e diffidenza, che è assolutamente comprensibile di fronte ad una svolta che rappresenta per tutti una sfida, ma sono convinto che il confronto delle Regioni fra loro e con il Governo riuscirà a far emergere su tutto questo la convinzione che siamo di fronte ad una scelta ineluttabile per riuscire a coniugare l’esigenza di tenere sotto controllo la spesa pubblica ma contemporaneamente garantire a tutti gli italiani, dovunque risiedano, l’erogazione di un servizio sanitario di qualità.







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