Gli scandali regionali e le relative inchieste danno nuova linfa al pensiero statalista. Non potevano verificarsi circostanze migliori di queste, dal punto di vista dei fautori del centralismo, per poter imputare alle Regioni tutti i mali possibili immaginabili. Non è escluso che il ddl costituzionale volto a modificare il rapporto tra Stato e Regioni varato dal Cdm spinga proprio in questa direzione. In esso, infatti, alcune materie oggetto della legislazione concorrente diventano prerogativa di Roma; in particolare, lo diventano il turismo, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia, la disciplina dell’istruzione, l’export e la produzione. Abbiamo chiesto all’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, quali prospettive si prefigurano.
Secondo lei, cosa sta succedendo?
Mi pare che stia tornando in voga una sorta di neocentralismo; si sta approfittando, in maniera scorretta, di comportamenti indecenti e di scandali, che pur ci sono, per farci deviare dalla strada principale.
Quale?
Quella del federalismo. Un progetto che non riguardava certamente soltanto una minoranza politica, ma che, negli anni, ha coinvolto la maggioranza delle forze parlamentari. E che, ancora oggi, rappresenta il modello più conveniente.
Eppure, oltre agli scandali, è stata certificata l’esistenza di metodi illeciti o poco ortodossi nel distribuire e usare i finanziamenti, di sprechi a livello di governo e di inefficienze
Ovviamente. Sarebbe, tuttavia, sufficiente penalizzare quelle Regioni che si sono comportate male e premiere quelle virtuose.
Come?
Portando a termine il percorso federalista. Ancora oggi, manca una serie messa in campo del criterio dei costi standard, in modo da omogeneizzare le spese evitando, così, sprechi, clientelismi e corruzione; si dovrebbe, inoltre, aggiungere, in tempi rapidi, un sano principio di responsabilità. Fino al punto da prevedere il commissariamento di quelle Regioni che sgarrano o il divieto di candidarsi per quegli amministratori che hanno mandato gli enti da loro gestiti in dissesto. Prevedrei, infine, pesanti sanzioni per chi non utilizza i fondi europei. Ecco, così facendo, si risolverebbero tanti problemi, senza bisogno di ipotizzare la cancellazione delle Regioni. Il principio di responsabilità, oltretutto, consentirebbe un diverso sistema di trasferimenti.
A che scopo?
Oggi le risorse ricevute da Roma sono inversamente proporzionali alle imposte versate, con degli squilibri enormi tra Nord e Sud. Sarebbe opportuno invertire questa tendenza, garantendo alle Regioni virtuose trasferimenti più congrui.
In ogni caso, chi è che spinge per lo Statalismo?
I burocrati. Tanti dei quali si trovano al governo o in seno alle strutture dello Stato.
Perché le Regioni, al di là del federalismo, vanno mantenute in vita?
Rappresentano un sistema di governo del territorio irrinunciabile. Per intenderci: un provvedimento che riguardasse la montagna non potrebbe essere scritto alla stessa maniera per i rilievi siciliani, per il Gennargentu o per le Dolomiti. Lo stato tenderebbe all’omogeneità, mentre i Comuni non potrebbero legiferare in materia. Non è, di certo, l’unico motivo per cui le regioni sono necessarie.
Ci faccia qualche altro esempio
Senza le Regioni alcune eccellenze non sarebbero riconosciute come tali. Penso, in particolare, alla sanità, l’unica materia realmente delegata dallo Stato alle Regioni. Laddove essa rappresenta un’eccellenza, e in certi casi un’eccellenza mondiale come in Veneto e in Lombardia, senza autonomia e con provvedimenti uniformi, non lo sarebbe. Per i casi, invece, di malasanità, sarebbe sufficiente implementare le suddette misure.
Tutta una serie di materie oggetto della legislazione concorrente passa nel campo della legislazione esclusiva dello Stato: cosa ne pensa?
Non si fa altro che attribuire ad uno Stato già di per sé lento, inefficiente ed elefantiaco ulteriori fardelli.
(Paolo Nessi)