DOPO IL VOTO/ Cattolici e giovani senza partito

- Pietro Barcellona

Le elezioni amministrative in Italia, il voto francese e quello greco. L'avanzata dell'antipolitica e la mancata autoriforma dei partiti nell'analisi di PIETRO BARCELLONA

CameraAssediataPalazzoR400 Immagine d'archivio (Infophoto)

Taluni opinionisti, commentando il risultato delle elezioni amministrative italiane, hanno cercato di collocarle anche nel quadro delle altre consultazioni elettorali che si sono verificate in questi giorni e che hanno visto, specialmente in Francia, la vittoria del socialista Hollande come espressione di un centrosinistra che ha sconfitto le posizioni neoliberiste di Sarkozy. Ad avviso di alcuni commentatori, il segno unificante delle elezioni francesi, italiane e greche sarebbe costituito da un netto rifiuto della maggioranza delle popolazioni verso la governance europea e verso l’egemonia tedesca che ha imposto le misure di austerità agli altri Paesi.

Mentre credo che nel sentire comune delle popolazioni chiamate a votare si è certamente sviluppato un senso di sfiducia verso l’Unione Europea, che appare agli occhi della maggioranza dei votanti il garante di un’egemonia finanziaria iniqua e oppressiva verso i ceti medi e i ceti più deboli delle diverse società, non sono tuttavia d’accordo nel considerare le elezioni italiane leggibili soltanto sotto questo apparente segno unificante.

Il voto italiano, come accenna Massimo Giannini nel suo commento su Repubblica, è l’espressione drammatica di una crisi di sistema che ripropone in termini di estrema urgenza la questione di uno spappolamento di ogni orientamento collettivo e la rivolta contro il sistema dei partiti che ha caratterizzato la prima e la seconda Repubblica.
Gli italiani hanno votato contro i partiti e nessuno di essi, neppure il Pd che consegue risultati relativamente migliori, può sottrarsi alla ricerca urgente delle cause di una sconfitta che sicuramente impone una riflessione a 360 gradi. Il “fatto” da cui bisogna prendere le mosse, e purtroppo con un atteggiamento opposto a quello che improvvidamente ha manifestato il nostro Presidente della Repubblica (paragonando l’exploit di Grillo ad altri avvenimenti simili che hanno caratterizzato la storia politica), è il successo di Grillo e della lista Cinque Stelle che non può essere archiviato soltanto nella categoria dell’antipolitica che ogni tanto esplode nel nostro Paese.

Il successo di Grillo va letto infatti in un quadro in cui non soltanto il centrodestra è quasi completamente scomparso, ma piuttosto si sviluppano in tutto il Paese liste civiche e candidature personalizzate in evidente contrasto con gli schieramenti che starebbero alla base dei successi elettorali conseguiti.
Il caso di Orlando Cascio a Palermo non va letto come una vittoria della coalizione di centrosinistra, ma come il ritorno in campo di una personalità ambigua che dalla vecchia democrazia cristiana è transitata all’Italia dei valori presentandosi come il catalizzatore di una protesta confusa e di una pervasiva ostilità verso i partiti già dilaniatisi nel corso delle primarie.

Le caratteristiche di molte candidature e i risultati della lista Cinque Stelle parlano in modo assolutamente chiaro: il sistema tradizionale dei partiti si trova assediato in una zattera di naufraghi che non riesce più a trovare alcuna capacità di comunicare effettivamente con il modo di sentire della gente comune. Il distacco dal sistema dei partiti che questo risultato elettorale di Grillo e di altre candidature come quella di Orlando mette in evidenza è ormai giunto al punto di non ritorno.

In anni molto lontani commentando un risultato elettorale, certo non paragonabile a quello attuale, ma con segni evidenti di scollamento tra i partiti e la società, Giovanni Berlinguer mi disse con grande preoccupazione che i partiti non intercettavano più le fasce dinamiche della società: i giovani e le forme nuove di lavoro.

L’esplosione del “grillismo” è un aspetto della drammatica questione giovanile che oramai inquina anche la nostra convivenza civile. I giovani non hanno interlocutori ormai da molti anni e il sistema dei partiti non riesce a raccoglierne le istanze profonde né ad interpretarne i bisogni. Qualcuno ha scritto che sebbene Grillo si muova su un registro molto simile a quello berlusconiano della demagogia e del populismo, poi nei fatti è stato capace di presentare candidature credibili di giovani impegnati nella società, come il candidato di Genova e come il candidato di Parma, capaci di parlare ai propri coetanei e di dare la sensazione che si possa aprire una nuova via in un sistema sclerotizzato. 

Personalmente considero Grillo una controfigura di Berlusconi nel modo in cui la sua comunicazione mediatica indulge prevalentemente allo sberleffo e all’insulto valorizzando gli aspetti “demenziali” di un sistema mediatico che è il primo responsabile della degenerazione della politica in puro intrattenimento spettacolare e in denuncia senza prospettive. Ma il “grillismo” non è Grillo che si può facilmente catalogare in una forma di populismo mediatico che valorizza la volgarità e il qualunquismo. Il “grillismo” è piuttosto la straordinaria mobilitazione di giovani ragazze e ragazzi che hanno ritrovato il gusto della politica nel dialogo porta a porta con i cittadini e nel raccogliere con molta concretezza le proteste e le delusioni che attraversano il tessuto sociale del nostro Paese. Come dicevano alcuni commentatori che hanno cercato di entrare più nel merito della situazione attuale ciò che ha funzionato nel grillismo è stata la fortunata selezione dei candidati che si pongono nei confronti degli elettori come cittadini partecipi della vita sociale.

Nonostante la retorica sulla partecipazione, i partiti tradizionali non hanno modificato in nulla il proprio stile autocratico e sono stati spesso costretti ad accodarsi a scelte di candidato delle primarie che esprimevano molto più l’umore delle popolazioni che non i disegni politici delle varie oligarchie che continuano a gestire il potere.
In questi anni un vero e proprio tornado ha investito la vita dei partiti, e il susseguirsi degli scandali che coinvolgono anche i vertici, dando a tutti la sensazione che i professionisti della politica sono unicamente interessati alla conservazione del proprio potere e dei propri fedeli, hanno fatto tabula rasa di ogni credibilità personale anche di quelli che non sono coinvolti.

Nessuno ha provato a dialogare col mondo giovanile cercando di fare chiarezza sulla differenza fra il nichilismo demenziale che proclama a parole la dissoluzione del vecchio mondo e la necessità invece di approfondire e analizzare insieme le ragioni di una crisi che investe tutta la società. Nessuno ha provato a ragionare sul fatto che gli adulti, specialmente gli anziani, attaccano i giovani per il loro infantilismo senza essere capaci di mettere in discussione i propri ruoli che continuano a perpetrare forme di dominio su grandi parti della società.

I giornali hanno commentato la scelta di Monti di istituire una terna di superesperti tecnici come una svolta positiva senza sottolineare per nulla la grave contraddizione di un governo tecnico che cerca la collaborazione di altri tecnici nessuno dei quali appare dotato – anche per ragioni di età – di giovanile ardimento. La tendenza al commissariamento tecnico del governo delle società europee certo non aiuta l’autoriforma del sistema dei partiti ma è di per sé una delle cause della sconfitta che consegna il nostro Paese a un marasma privo di una vera e propria direzione di marcia. Grillo non propone certo alcun modello di società che abbia senso perseguire, anche se i suoi candidati sono apparsi nei vari contesti territoriali l’unica espressione di un rinnovamento possibile, culturale e  generazionale.

Per altro verso la vera e propria alluvione che ha sommerso la presenza del centrodestra,  se certamente va salutata come il tramonto di un’epoca in cui l’imbroglio e l’imbonimento hanno avuto la meglio sulla realtà dei rapporti fra gli appartenenti alla comunità nazionale, apre una questione enorme sul terreno del rapporto fra mondo politico e Chiesa Cattolica.
Non c’è dubbio infatti che, almeno sul piano tattico-politico, il centrodestra è stato per molti aspetti il referente della presenza in Italia di un vasto e profondo senso dei valori tradizionali della famiglia e dell’educazione.

Si è trattato, come i fatti dimostrano, di una vera e propria truffa perpetrata dai dirigenti del centrodestra nei confronti delle aspettative e delle aspirazioni del mondo cattolico e pertanto non si può non gioire del fatto che questo risultato elettorale libera da un equivoco la scena politica italiana. Non sono le classi dirigenti di un sistema fondato sulle disuguaglianze sociali e sul sacrificio del mondo del lavoro gli interlocutori possibili di un mondo cattolico che esprime ancora attraverso le gerarchie il bisogno di tutelare i più deboli e di garantire la dignità della persona. Sottovalutare il disorientamento che può colpire il mondo cattolico di fronte a un panorama politico così caotico significa ignorare che gran parte della nostra identità nazionale, proprio sul piano storico-politico, si è costruita attorno al nucleo dell’antropologia cristiana che mette al centro di ogni azione il valore fondamentale della persona umana.

Il compromesso al ribasso che Berlusconi ha tentato, strumentalizzando le questioni di bioetica a vantaggio di un governo dei ricchi, è definitivamente fallito. In futuro penso che non sarà più possibile utilizzare la vicenda della Englaro per far passare in parlamento indecenti provvedimenti legislativi ad personam. Ma questo non significa per nulla che nello scenario politico che si dovrà disegnare per il futuro di questo Paese si debba relegare la questione del mondo cattolico a un ruolo secondario e strumentalizzabile.

Nel tracollo del centrodestra c’è anche la sconfitta netta di un disegno in cui le culture neoliberiste che perpetuano disuguaglianze e disperazione si possano congiungere in un matrimonio di interessi in cui le cosiddette forze politiche delle destre affaristiche concedono alla Chiesa spazio di potere sui problemi di coscienza dei cittadini. La presenza dei cattolici nella politica italiana è un problema di costituzione politica del Paese che non può ignorare come la sua storia nasca da un progressivo integrarsi del mondo cattolico nella vita sociale e politica del Paese.

Un sistema dei partiti che non sa parlare ai giovani e non sa cogliere il senso profondo delle istanze religiose è già condannato in partenza alla sterilità, proprio perché incapace di riproporre uno spirito nazionale dove sia restituita ai cittadini la possibilità di partecipare alle decisioni che riguardano la vita di tutti.

Questione giovanile e questione cattolica sono i temi da porre al primo posto di un’agenda politica che voglia affrontare la realtà frantumata del Paese nella prospettiva di un nuovo spirito nazionale che raccolga anche il positivo delle nostre tradizioni storiche. Se il successo di Grillo può aprire la porta anche inconsapevolmente a una deriva nichilistica del mondo giovanile, la dissoluzione di ogni referente politico per il mondo cattolico può aprire la porta a nuovi integralismi e a nuove lotte di religione. Come sempre è accaduto nella storia, nichilismo e integralismo si tengono insieme e producono di solito svolte autoritarie.

Il successo che in Francia ha avuto Marie Le Pen e la comparsa in Grecia di movimenti di estrema destra dovrebbero rendere tutti consapevoli che la nostra società democratica è scossa alle radici e che i rischi del futuro sono inquietanti.
Bisogna augurarsi nell’interesse di tutti che la discussione su ciò che viene emergendo dalla pancia profonda delle società europee trovi forme di espressione capaci di integrarsi in un tessuto sociale non continuamente lacerato da divisioni e conflitti mortali.







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