ELEZIONI 2012/ Così il “modello Verona” seppellisce la Lega

- Stefano Bruno Galli

Quella uscita dalle urne dello scorso week end elettorale è la definitiva delegittimazione di un sistema politico in crisi. L'analisi e le tesi del Prof. STEFANO BRUNO GALLI

MaroniRobertoSalviniLegaR400 Immagine d'archivio (Infophoto)

Quella uscita dalle urne dello scorso week end elettorale è la definitiva delegittimazione di un sistema politico in crisi. Sotto i colpi di un astensionismo che va ben oltre il tasso fisiologico – anche perché si trattava di elezioni amministrative, pertanto fortemente ancorate alla dimensione territoriale – il sistema politico ha barcollato. L’astensione (ha votato circa il sessanta per cento degli elettori) è la vera antipolitica, non i consensi al movimento di Beppe Grillo e neppure quelli alle varie liste civiche.

La delegittimazione del sistema fa emergere la più completa assenza di progettualità da parte di tutti i partiti, incapaci di fronteggiare una crisi che è politica e sistemica prima che economica. E la politica è – anzitutto – progetto. Si tratta di una crisi che dura da anni, di fronte alla quale nessuno ha elaborato e proposto una exit strategy credibile; e anche quella incarnata da Mario Monti – capace solo di incrementare la pressione fiscale innescando delle pericolose derive conflittuali e disgregative in seno alla società – è in affanno, negli ultimi tempi.

Nessuno può dichiararsi davvero il vincitore. Ha subito una sonora sconfitta il Pdl, la Lega è riuscita ad arginare parzialmente il violento malrovescio elettorale, ha tenuto il Pd, come l’Idv e Sel, non è esploso – almeno secondo le preoccupate previsioni della vigilia – il Movimento 5 stelle, inesistenti il Partito della Nazione e il Terzo polo.
Dal punto di vista degli equilibri di forza, la parziale “vittoria” del Pd può consentire a Bersani di contenere l’influenza di Alfano e Casini nel dettare al premier Monti l’agenda di governo. Vittoria modesta.

Il Movimento 5 stelle – così come le varie liste civiche – vanno a intercettare i consensi là dove si registra la crisi della democrazia italiana, vale a dire intorno all’istituto della rappresentanza. Oggi come oggi, infatti, nessuno rappresenta più nessuno. Ripartire dal dialogo porta a porta con gli elettori e proporre dei candidati che sono espressione della società civile, non già della classe politica ormai divenuta casta, assume il senso di rifondare l’istituto della rappresentanza, perno sul quale si regge ogni moderna democrazia.

Quello di Grillo è un movimento – a suo modo – “territoriale”. Come la Lega è nata a suo tempo nelle pieghe del territorio del Nord allo scopo di rappresentarne e tutelarne gli interessi, allo stesso modo il Movimento 5 stelle è nato in un altro “territorio”, la moderna rete del web, dove la comunicazione politica è riconducibile alle pratiche della democrazia partecipativa. Un Movimento che s’è affermato al cospetto dello tsunami, proprio come accadde alla Lega all’inizio degli anni Novanta.

Quanto alla Lega, l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni aveva puntato tutto sul “modello Verona”. E i fatti gli hanno dato ragione. Il “modello Verona” prevede – al di là della figura del sindaco Flavio Tosi e del suo successo personale – l’allargamento al centro per drenare i consensi degli elettori sensibili alla Questione settentrionale, oggi più aperta che mai, per via dell’azione del governo Monti. Solo così la Lega – che si dimostra l’unica forza politica dotata di un progetto “alternativo”, credibile e coerente – tornerà a essere la titolare esclusiva della rappresentanza e della tutela degli interessi del Nord, come un vero “partito di raccolta” sul modello autonomistico.

La Lega di Maroni ha vinto a Verona e ha ottenuto un risultato più che lusinghiero a Cantù, importante centro della Brianza, con l’onorevole Nicola Molteni, che si presenterà al ballottaggio – tra quindici giorni – come il candidato più votato al primo turno. 
Il Carroccio s’è imposto là dove il processo di dissoluzione del Pdl – che paga l’appannamento della leadership e una grave lacuna strategica e progettuale, tra l’altro dimenticandosi di essere un partito del Nord – è stato più significativo, intercettandone i voti in libera uscita. 

Berlusconi l’aveva intuito che sarebbero state elezioni difficili per il suo partito, tant’è vero che – malgrado la sua tempra di combattente – s’è defilato nelle ultime settimane. E sarà difficile rilanciarne l’azione, così come riaprire il dialogo con quella parte di Lega che è oggi emergente ed è molto critica verso l’alleanza.

Requiem per la Seconda repubblica? Probabilmente quella che, per semplificazione giornalistica, chiamiamo Seconda repubblica nella realtà non è mai nata. Nei fatti, all’indomani del tornante 1989-94 – per una folla di ragioni – ha preso avvìo una lunghissima età della transizione, che si è configurata come l’ombra lunga, come la fotocopia sbiadita della Prima repubblica. Speriamo che la Seconda arrivi per davvero e assai presto.





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