REFERENDUM ANTI-CASTA/ Morrone: la raccolta firme sul taglio degli stipendi ai parlamentari? Non è uno scherzo…
In tutta Italia è partita il 12 maggio scorso la campagna referendaria per eliminare le indennità parlamentari promossa dal movimento Unione Popolare. Ne parliamo con ANDREA MORRONE
In tutta Italia è partita il 12 maggio scorso la campagna referendaria per eliminare le indennità parlamentari. Una “rivoluzione gentile”, come viene definita da Unione Popolare che la sta portando avanti, ma che fino a oggi ha goduto di scarsa copertura mediatica da parte degli operatori dell’informazione tradizionale. L’obiettivo è chiaro: tagliare gli stipendi d’oro della “casta” attraverso l’abrogazione dell’articolo 2 della legge 1261 del 1965 che prevede una diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma pari a circa 3.500 euro al mese per ogni deputato e senatore. La portavoce del movimento, Maria Di Prato, aveva spiegato a maggio che il referendum “non è né demagogico né antipolitico, ma vuole focalizzare l’attenzione su un principio fondamentale: ovvero che chi comanda deve dare l’esempio per primo”. Ne parliamo con Andrea Morrone, professore di Diritto costituzionale presso l’Università di Bologna e presidente del Comitato referendario con cui si tentò nel corso dello scorso anno di modificare l’attuale legge elettorale.
Conosce Unione Popolare che sta portando avanti l’iniziativa?
Sì, era uno dei movimenti politici che aveva sostenuto il referendum per il ritorno al Mattarellum nel Comitato di cui ero presidente.
Che possibilità ha l’Up di attuare tale referendum?
Dipende dalla capacità del gruppo ma mi è stato riferito che lo sforzo organizzativo sta producendo dei risultati molto incoraggianti, quindi ho ragione di credere che l’obiettivo potrà essere raggiunto.
Quali sono i maggiori ostacoli che si affrontano in questi casi?
Le maggiori difficoltà dipendono in particolare dalla possibilità che il messaggio contenuto nei quesiti referendari possa raggiungere i cittadini. Trattandosi degli stipendi dei parlamentari, un tema certamente di grande interesse e attualità, credo che una volta fatto arrivare alla popolazione non vi siano molti altri ostacoli.
Dal punto di vista puramente tecnico quali sono i maggiori problemi?
In particolare, secondo l’art. 31 della legge 352/1970, non è possibile depositare una richiesta di referendum nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere. La Corte di Cassazione, in una ordinanza del 1992, ha precisato che bisogna intendersi l’anno solare antecedente la data delle elezioni politiche: questo significa che i referendari dovranno depositare le firme non del 2012, ma dal primo gennaio 2013 fino alla data delle elezioni.
Per quanto riguarda invece il giudizio di ammissibilità del referendum?
I quesiti con le firme che verranno depositati a gennaio 2013 potranno essere giudicati dalla Cassazione a partire da settembre e dalla Corte Costituzionale nel mese di gennaio del 2014. Quindi, se tutto andasse nel verso giusto, si potrebbe votare questo referendum nella primavera del 2014, un anno dopo le elezioni politiche.
Cosa pensa dei contenuti di questo referendum?
Come hanno fatto sapere anche i promotori, si tratta di un referendum anti-casta che punta ad una moralizzazione e a una riduzione dei costi della politica. I nostri parlamentari sono tra i più pagati d’Europa e godono di privilegi assolutamente sproporzionati rispetto all’attività che svolgono, quindi un’azione del genere è certamente opportuna.
Il comitato referendario di cui era presidente ha depositato in Cassazione oltre 1.200.000 firmeper abrogare l’attuale legge elettorale. Cosa prevede in questo caso?
Un referendum su questa materia e con questa valenza politica e morale ovviamente trascina consensi, prendendo un significato ancora più forte di quello che ho promosso in passato e che ha raccolto tutte quelle firme. Se adeguatamente pubblicizzata, un’iniziativa del genere può rivelarsi un successo sia nella raccolta delle firme che al momento della votazione.
Il referendum da lei promosso proponeva di cancellare il Porcellum ma avveniva prima dell’arrivo del governo tecnico. Con il nuovo esecutivo sarà possibile cambiare la legge elettorale?
Il governo, fin dalle prime dichiarazioni programmatiche, ha scelto di non impegnarsi in una riforma dell’attuale legge elettorale, cosa che invece ritengo ancora assolutamente necessaria. Lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è impegnato direttamente attraverso un messaggio alle Camere affinché il Porcellum possa essere cambiato.
Da cosa dipende quindi?
Dipende dai precari equilibri politici che caratterizzano i vari schieramenti che sostengono e che osteggiano il governo Monti. Trovo però difficile che un Parlamento, con le difficoltà politiche che attualmente esistono, possa arrivare a cambiare la legge elettorale.
Cosa pensa delle posizioni dei maggiori schieramenti?
E’ indubbio che questa legge elettorale è gradita ai segretari di tutti i partiti. Grazie al Porcellum riescono a nominare un Parlamento di fiduciari, persone che in maniera pacifica possono sostenere il segretario. E’ una legge che fa comodo a tutti, da Bersani a Berlusconi, fino a Vendola, Di Pietro e Grillo.
Con il referendum del 1993, dopo Tangentopoli, e con il 90,3% dei sì furono abrogati i finanziamenti pubblici ai partiti. Nel 1994 vennero però introdotti i “rimborsi elettorali”. Come giudica il clima attuale in cui si sta cercando di attuare un nuovo referendum?
In una situazione politica e un contesto sociale di profonda crisi come quelli attuali il tema riguardante la riforma della legge elettorale passa velocemente in secondo piano. Le famiglie fanno fatica a superare la terza settimana del mese, non c’è alcuna fiducia nel futuro e il governo Monti tenta a fatica di far fronte alle difficoltà attraverso i difficili provvedimenti che sta approvando in queste settimane. Saranno proprio questi aspetti a risultare fondamentali al fine di capire il grado di consenso nei confronti di temi rilevanti come quelli che a breve dovranno essere affrontati.
(Claudio Perlini)
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