Persino il capo dello Stato si è sentito in dovere di scomodarsi per avallare un’ipotesi che, all’inizio, sembrava più che altro una boutade. In un colloquio con Eugenio Scalfari, Napolitano ha fatto presente come la proposta di una nuova Costituente «dopo trent’anni di tentativi abortiti di riforma costituzionale», effettivamente, «abbia una sua motivazione». L’idea è dell’ex presidente del Senato Marcello Pera ed è nata in seguito alla constatazione del naufragio delle riforme messe a punto da ABC e dello stallo cui, stante l’attuale equilibrio tra i poteri, è inesorabilmente destinato il prossimo Parlamento. Quindi, suggerisce Pera, perché non eleggere, contestualmente alle elezioni del 2013, 75 saggi completamente svincolati dalla politica, che abbiano un anno di tempo per modificare adeguatamente gli assetti istituzionali? «Meglio di no», dice l’ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti.
Quindi, lei non ritiene necessaria una nuova Costituente?
No, anzi: con la proposta torna in primo piano la corrente politico-istituzionale del revisionismo costituzionale. Non bisogna cadere nella trappola che farebbe della Costituente una modalità per discutere la forma di governo. Essa, infatti, si riunisce in un solo caso: quando si vuol metter mano alle fondamenta di un Paese. Si tratta, quindi, di una linea pericolosa che, al contempo, trova un corrispettivo nella realtà.
Dove?
Nell’ultimo quarto di secolo, con andamento alterno, si è prodotta una sorta di costituzione materiale – composta da un insieme di leggi, accordi, contratti, norme e decreti legge – che ha rovesciato il senso della Costituzione repubblicana corrodendone l’ordinamento generale e, in particolare, quel principio che ne ha fatto un cardine del pensiero costituzionale moderno, quello secondo cui la democrazia è eguaglianza. Tale principio è stato preso d’assalto.
In quali casi? Può farci qualche esempio?
Pensi a quanti hanno descritto la nostra Carta fondamentale come un ferrovecchio inadeguato alla contemporaneità affermando, magari, che la globalizzazione la rende obsoleta. Quasi tutti i provvedimenti di quest’ultimo ciclo, d’altronde, vanno in questa direzione: mi riferisco ai tagli dei fondi per la scuola pubblica, per la sanità, o alla messa in discussione dell’articolo 18. A livello europeo, infine, benché il tentativo di scrivere una costituzione comunitaria sia fallito, si è dato vita a trattati che rappresentano l’opposto dei nostri principi costituzionali, specie laddove affermano il primato del mercato sul lavoro. Insomma, la manomissione del welfare e dei diritti sindacali fondamentali rappresenta la parte fondamentale di quella costituzione materiale che, attraverso la Costituente, potrebbe essere ratificata e prendere forma.
Trova che tale attacco sia stato mosso anche contro le nostre forme democratiche?
Certo. Altrettanto è avvenuto contro la Repubblica parlamentare. Il Parlamento, infatti, è stato progressivamente ridotto ad una cassa di risonanza del governo. Il quale, nell’ultima fase, è stato a sua volta fagocitato dalla cupola tecnocratica che ha, di fatto, svuotato di contenuto la democrazia rappresentativa.
I fautori della Costituente affermano che non vi sia alternativa per dar vita alle riforme di cui ha bisogno il nostro Paese…
Se stiamo parlando della riforma elettorale, è sufficiente una legge ordinaria. Se parliamo del taglio dei parlamentari, si consideri che un intervento mirato è riuscito a introdurre in Costituzione la regola del pareggio di bilancio. Un’operazione pesantissima, che limita notevolmente la nostra sovranità. Figuriamoci, quindi, se un singolo intervento, altrettanto mirato, non possa ridurre della metà il numero di deputati e senatori. Se ci riferiamo, infine, a modifiche quali il premierato forte, siamo di fronte alla volontà ulteriormente decisionista di attribuire il potere sovrano al governo e, all’interno del governo, al premier, svuotando definitivamente quello dell’Assemblea rappresentativa considerata, ormai, una perdita di tempo.
Quindi, lei come valuta l’insieme di riforma messa a punto da Alfano, Bersani e Casini?
Hanno sin qui operato nell’assoluta assenza di trasparenza. Se vogliono una Repubblica presidenziale al posto di quella parlamentare, che almeno lo dicano. In tal caso, richiedano una modifica costituzionale prevista dalla Carta medesima e, successivamente, si indica un referendum. Ma parlare di Assemblea costituente in una stagione in cui le astensioni sono al 40 per cento è una fuga in avanti velleitaria e avventurista. Le costituzioni si scrivono quando un Paese ha perso una guerra o ha vinto una rivoluzione. L’Italia, all’epoca, vinse la rivoluzione antifascista e perse la guerra fascista. Non mi pare che oggi si possa parlare di guerre, se non quella persa dai lavoratori, mentre non vedo rivoluzioni all’ordine del giorno.
E quella di Grillo? Che cos’è?
La reazione, certamente discutibile, allo sfacelo del sistema politico italiano.
Se il Parlamento non ripristina la propria dignità, che scenario si prefigura?
L’astensione diventerà imponente, mentre l’antipolitica ingrosserà a dismisura le proprie fila. Lo scenario, in sostanza, resterà non molto diverso da quello attuale.
Come se ne esce?
Vede, ci sono due terreni di conflitto: quello del rapporto con il sistema politico, di fronte al quale è in atto una rivolta, per quanto pacifica e, in certi casi, fuorviata e che, impropriamente, definiamo antipolitica; e quello del conflitto sociale, più in generale dei movimenti che contestano l’attuale regime socio-economico. Questi due terreni si uniscono quando una sinistra forte, che ha maturato una ricostruzione dei consensi, opera la congiunzione; tale riunificazione rappresenta un fenomeno positivo, ma richiederebbe un ruolo dei sindacati e della sinistra che, attualmente, non si vede all’orizzonte.
E se ci fosse, cosa cambierebbe?
Si opporrebbe all’ipotesi di una costituente regressiva un processo, proveniente dal basso, di democrazia partecipativa che congiungerebbe la contestazione del sistema politico a quella del sistema economico in nome del lavoro, di un nuovo modello sociale, della valorizzazione dell’ambiente e delle attività dei Comuni; il tutto potrebbe essere messo in relazione a nuovi spazi di democrazia diretta, quali i referendum propositivi o i bilanci comunali partecipativi.
Rispetto a questo contesto, Galli della Loggia ha parlato dell’irrilevanza dei cattolici in politica, sostenendo che il loro contributo in termini di pensiero sia nullo. È d’accordo?
E i laici, invece, dove sono? Credo che la crisi del pensiero politico, in Italia, come in Europa, riguardi i cattolici, ma anche la sinistra e i liberali. L’unico pensiero dominante è quello delle classi dominanti. L’unico pensiero, sempre che possa esser definito politico, è quello che promana dalla banche e dai grandi istituti finanziari e che ha sostituito quello delle università e dei partiti. All’interno della società, tuttavia, la vitalità del cattolicesimo è molto forte. Lo è pure quella dei movimenti: penso ai no tav, al movimento di liberazione dell’acqua, ma anche ai metalmeccanici della Fiom e ai cattolici stessi. In sostanza: mentre all’interno della società esistono ancora energie vivaci, le riflessioni politiche forti sono, ormai, morte.
(Paolo Nessi)