DIETRO LE QUINTE/ Così Maroni ha ridotto la Lega Nord a una sottomarca del Pdl

- int. Luigi Moncalvo

GIGI MONCALVO spiega perché la Lega, pur guidando contemporaneamente le tre principali Regioni del Nord, è riuscita ad ottenere alle elezioni comunali uno dei risultati peggiori di sempre

bossi_maroni_legaR00 Umberto Bossi e Roberto Maroni (Infophoto)

Quando Giancarlo Gentilini, storico sindaco “sceriffo” di Treviso, non solo non è stato rieletto al primo turno ma, addirittura, è stato abbondantemente superato dallo sfidante del Pd, Giovanni Manildo, (hanno preso, rispettivamente, il 34,40% dei voti e il 43,96%), è stato chiaro che un’epoca era finita. L’epoca in cui al nord, nei Comuni, ad ogni elezione faceva faville. Nel frattempo, al disastro elettorale, si stanno sommando le contrapposizioni ai vertici. Bossi è tornato a esternare. Contro Maroni.  «Maroni non può fare tutto. Deve scegliere cosa fare. Deve fare un passo indietro», ha dichiarato il Senatur, spigando di essersi sentito tradito. Sia dalla Lega, che dall’attuale presidente lombardo. Ma più dalla Lega.  Ma che Maroni debba fare un passo indietro, ovvero dimettersi dalla segreteria del partito, è chiaro anche a lui stesso. Del resto, aveva promesso che non appena vinte le elezioni per il Pirellone, non avrebbe esitato a lasciare la guida del partito. Si profila, quindi, all’orizzonte un nuovo scontro. Quello tra il sindaco di Verona, Flavio Tosi, appoggiato esplicitamente da Bossi, e Matteo Salvini, segretario della Lega Lombarda che, come ben noto, gode del sostegno di Maroni. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Gigi Moncalvo, ex direttore della Padania.

Come si giustifica la débacle leghista alle elezioni comunali?

La Lega, in genere, alla amministrative andava benissimo. Evidentemente non ci sono più né gli uomini, né il radicamento sul territorio, né gli ideali, né la credibilità. Non c’è più nulla.

Eppure, la Lega in questo momento governa le tre principali Regioni del Nord.

E’ la dimostrazione del fatto che, ormai, è un bluff. Significa inoltre che in Veneto e Piemonte, in cui governa ormai da diverso tempo, ha fallito.

E la Lombardia?

Beh, si fa presto a fare manifestazioni per l’Expo, ardere dal desiderio di essere tutti i giorni sui giornali, su Twitter, millantare l’operatività “H24” e via dicendo. Ma, a poche settimane dal voto, la gente si è già resa ormai conto perfettamente che il partito non è diventato nient’altro che una sottomarca del Pdl. E ha smesso di votarlo. D’altro canto, Maroni ci ha messo del suo.

Cos’ha fatto?

Non si è limitato a distruggere semplicemente Bossi e suo figlio, ma l’intero partito. Sono convinto che da ex ministro dell’Interno sappia come raccogliere certe informazioni, e che le abbia usate al momento opportuno, facendole arrivare ai giornali. Ha privilegiato le sue ambizioni rispetto al bene delle Lega. Fosse stato un vero leghista, avrebbe dato vita ad un regolamento di conti interno, esplicito.

 

Perché Bossi ha ripreso ad attaccare Maroni?

Perché si è accorto di non contare più nulla. Nessuno se lo fila, nessuno lo ascolta. Resta il fatto che Maroni, effettivamente, prima o poi dovrà abbandonare la poltrona di segretario. 

 

Perché non l’ha ancora fatto?

Perché si illudeva ancora di disporre di una pacchetto corposo di voti. Ma è ormai lontano anni luce dalla base, si limita a parlare su Twitter. Bossi, anche nei momenti peggiori, si faceva due o tre comizi alla settimana.

 

In ogni caso, per la successione, Maroni è schierato con Salvini, Bossi con Tosi. Chi la spunterà?

La Lega veneta, da sempre la vera roccaforte leghista, ha perso l’ennesima occasione storica per prendersi in mano il partito. Ce l’avrebbe fatta se non si fosse spaccata in due, con le lotte intestine tra Zaia e Tosi. Quindi, vincerà Salvini.

 

Questo cosa implicherà?

Sarà un ottimo segretario, perché ha contatti con la base. Ma non ha alcun contatto con i gruppi parlamentari. Come se non bastasse, il vero segretario continuerà ad essere, nell’ombra, Maroni. Il quale si guarderà bene dal mettersi contro Berlusconi. E la Lega continuerà ad essere una sottomarca del Pdl. 

 

(Paolo Nessi)





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