PROCESSO MEDIASET/ 1. Berlusconi e il suicidio del voto anticipato
Il blitz della Cassazione scompagina i piani dei difensori di Berlusconi. La prescrizione non è più la carta da giocare e arriva il giudizio. Cosa succederà? Ne parla ANSELMO DEL DUCA

Nell’entourage di Silvio Berlusconi c’è chi ha rivisto materializzarsi lo spettro delle toghe rosse. Nessuno toglie l’idea ai vertici del PDL che ci sia una regia precisa a cavallo fra giustizia e politica dietro l’uno-due che ha fissato per il 30 luglio la discussione della sentenza sul processo relativo ai diritti Mediaset. Colpo uno: i conteggi sulle prescrizioni pubblicati di primo mattino in apertura del “Corriere della Sera” con l’allarme sulla possibilità che l’interdizione dai pubblici uffici possa slittare. Colpo due: la fulminea messa a ruolo del ricorso della difesa del Cavaliere nel giorno stesso in cui è stato depositato.
Lo stato maggiore PDL è stato preso in contropiede, non c’erano state avvisaglie e le contromisure non sono pronte, anche perché non sono affatto facili da trovare. Tornato a Roma dopo una decina di giorni d’assenza, Berlusconi ha riunito i consiglio di guerra a Palazzo Grazioli. Nessun commento ufficiale, anche su pressante consiglio dei suoi legali, ma ai suoi è apparso davvero furibondo, perché sente che la morsa si stringe intorno a lui, e della pacificazione sperata in clima di governo di larghe intese non c’è nemmeno l’ombra. Se avesse potuto parlare, contro i giudici e la stampa avrebbe usato parole di fuoco per denunciare quello che ritiene un complotto ai suoi danni, giunto allo scontro finale.
Il partito è in subbuglio, le differenze fra falchi e colombe si sono azzerate di botto. Invocano una reazione forte tanto Santanchè, quanto Bondi. Parlano di fretta sospetta sia Lupi che Gelmini. E Brunetta dice chiaro chiaro che il problema è politico. Il governo è incolpevole, ma è inimmaginabile – a suo dire – che il leader di uno dei due partiti di maggioranza sia spazzato via e che questo rimanga senza conseguenze.
All’improvviso questo scenario, di un Berlusconi cancellato dalla scena politica, si è fatto straordinariamente concreto. La nuova linea difensiva, affidata a una vecchia volpe come Franco Coppi, puntava proprio sulla prescrizione per ottenere una revisione, almeno parziale della pesante sentenza d’appello, quattro anni di reclusione (tre condonati) e a cinque di interdizione dai pubblici uffici, pena accessoria che lo estrometterebbe dal Senato. La speranza era che i reati sino al 2002 si prescrivessero intorno alla metà di settembre, e che la Suprema Corte rimandasse il processo in Corte d’Appello per il ricalcolo della pena, guadagnando almeno un anno.
Niente di tutto questo, e niente giudici amici al Palazzaccio, perché la discussione del terzo grado di giudizio sarà affidato alla cosiddetta sezione feriale, quella che rimane attiva durante le vacanze estive, e che non è organicamente strutturata. Il quadro è tanto fosco che in pochissimi sperano – realisticamente – in un verdetto favorevole.
Reagire, allora diventa un imperativo categorico. Ma il problema è il come. La tentazione del “muoia Sansone con tutti i filistei” è forte, e l’ipotesi di un precipitoso ritorno alle urne è tornata prepotentemente d’attualità. Il problema è che questo non cambierebbe la situazione di un Berlusconi probabilmente fuori gioco. Potrebbe però essere questa una mossa suicida, perché nessuno riesce a valutarne la validità. E il partito potrebbe uscire cancellato dal confronto elettorale.
Una strategia ancora non c’è. A Palazzo Grazioli si sono prese in considerazione tante ipotesi, dall’Aventino soft a quello hard, cioè alle dimissioni in massa dei parlamentari azzurri. Nulla è deciso, tutte le ipotesi rimangono in campo. Quel che è certo è che a Palazzo Chigi in queste ore la preoccupazione è salita alle stelle e ci si prepara al peggio, anche se la linea ufficiale su cui insiste Enrico Letta in ogni intervento pubblico è quella di mantenere il piano del governo distinto e distante dalle vicende giudiziarie di Berlusconi.
Ma il Cavaliere non può restare fermo, e forse ha anche cercato di farlo presente al premier, attraverso Alfano o lo zio Gianni. Non può permettersi di finire accerchiato. Non può rimanere inerte a guardare. Qualcosa va fatto prima che sia troppo tardi, prima che la tenaglia della giustizia si stringa intorno a lui. Il problema, in queste ore, è cosa sia possibile ancora fare.
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