MANOVRA 2015/ Italia (di nuovo) commissariata?
Ieri il Senato, con il voto di fiducia, ha dato il via libera alla Legge di stabilità, che ha quindi completato il suo iter parlamentare. Il commento di MARA MALDO

Non c’era Mario Monti ieri in Senato. Per la prima volta assente al voto di fiducia, il professore non c’è l’ha fatta a mettere il suo nome sotto la legge che a tutti gli effetti sancisce il ritorno alla finanza allegra. Al tempo delle cicale. Una legge di stabilità fatta tutta in deficit, che aggrava e non di poco la già precaria situazione del debito italiano. Commenti “rigoristi” anche quelli di Mario Mauro, ex ministro del governo Letta, che parla di una norma “che getta nel caos i conti dello Stato e viola i principi del pareggio di bilancio introdotti di recente in Costituzione” e addirittura “svuota di senso la nostra presenza nel contesto europeo”. Ma giudizi altrettanti severi vengono non solo dagli esponenti dell’opposizione. Massimo Cacciari irride, intervistato dalla Gruber, la mancia dei 500 euro ai diciottenni. E a sinistra non si nasconde l’imbarazzo per un impianto legislativo etereo e pieno di misure all’insegna del temporaneo e dell’approssimativo.
La legge si è gonfiata fino a trentacinque miliardi di euro, ha spostato tasse e balzelli al 2017 e 2018, ne ha introdotte di nuove e non ha chiarito come regolerà i conti tra Stato centrale e Comuni dopo la cancellazione della Tasi per la prima abitazione. Ma soprattutto appare inadeguata dal punto di vista dello stimolo alla crescita (vedi il passo indietro sull’Ires) e si propone più con una logica di consenso che non con un senso.
Il Presidente del consiglio giura che l’Italia si metterà a correre. Ma nel provvedimento sembrano mancare quegli strumenti come la riduzione delle tasse sul lavoro in grado di agganciare una reazione positiva delle nostre imprese.
Più ruolo invece per il Partito-Stato, il Pd, che alla riffa renziana della Camera dei deputati ha potuto saziarsi gestendo con emendamenti mancia un miliardo tondo di spesa pubblica pura e dannosa. A Bruxelles Pierre Moscovici, commissario alle finanze dell’Ue, aspetta silenzioso di vedere le carte. Sulla scrivania vecchi e nuovi numeri di telefono. Di vecchi e nuovi professori. Non si sa mai…
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