REFERENDUM & CL/ Quel ragionevole “dubbio” che può guarirci dalla guerra civile

- int. Marco Cianca

Il referendum è diventato l'ennesimo capitolo della nostra guerra civile. Occorre uscirne al più presto. Il volantino di Cl sul referendum va in questa direzione, secondo MARCO CIANCA

camera_voto_fiduciaR439 Camera dei Deputati (LaPresse)

“Occorre abbandonarsi al dubbio, cioè pensare che quello che dice il nostro contraddittore magari potrebbe anche essere vero. E quindi starlo a sentire, ascoltare le argomentazioni, aprirsi all’altro”. Sono le parole di Marco Cianca, giornalista del Corriere della Sera, sul quale nei giorni scorsi ha pubblicato un editoriale dal titolo: “Nello scontro sul referendum è in gioco la convivenza civile”. Ha scritto Cianca: “Un vociare insolente. Sì, no. No, sì. Tu progetti di diventare un dittatore. Voi volete sfasciare tutto. Ci porti nel baratro. Bisogna andare avanti. Ti sfrattiamo da Palazzo Chigi. Aspirate solo a spartirvi il potere. Avventurista. Passatisti. Il dibattito sul referendum costituzionale è assordante. (…) Lo scontro sulle modifiche alla Carta rischia di alimentare il fuoco che cova sotto la cenere e riaffiora la tentazione di una resa dei conti che non ci ha mai abbandonato dalla nascita della Repubblica”.

Come è nato in lei questo articolo?

E’ nato assistendo alle mortificanti immagini che abbiamo tutti sotto gli occhi. Quanto è avvenuto a Gorino per esempio è qualcosa di terribile. I pescatori di vongole con le loro famiglie hanno impedito a 12 giovani con otto bambini di accedere al locale che avrebbe dovuto ospitarli. Tra l’altro i pescatori hanno festeggiato la vittoria con una grigliata, cioè con un’immagine barbarica come l’odore della carne che suggella la forza della tribù. Immagini come queste fanno chiedere: “Ma a che punto siamo arrivati?”.

Nell’articolo sul Corriere lei parla di una “tentazione della resa dei conti che non ci ha mai abbandonato”. Quali sono le cause?

Le cause risalgono alla fine della guerra. E’ come se i vinti, cioè i fascisti, non avessero mai ammesso davvero la sconfitta o il loro errore, e avessero sempre pensato al tradimento. I vincitori invece non hanno riconosciuto le ragioni dei vinti. Non c’è stato uno sforzo reale di voltare pagina tutti insieme, ma si è rimasti a una contrapposizione che non si è mai risolta e che sta in qualche modo ancora attraversando tutta la storia repubblicana dal 1945 a oggi. Ogni volta è come se riemergesse questa questione irrisolta.

Dove la vede?

Quando osservo la classe politica, il suo discredito, il suo ripiegarsi su se stessa, mi viene da dire: ma perché oggi non c’è un Alcide De Gasperi che abbia una visione d’insieme?. E’ come se la resa dei conti non fosse mai finita, e quindi come se non fosse mai stata inglobata nel nostro Dna la bellezza della democrazia.

Ma nel frattempo i fascisti non sono tutti morti?

Anche i comunisti sono tutti morti, e del resto forse è un errore ragionare per categorie politiche di questo tipo. La questione è più generale, è un problema di democrazia fragile.

Prima la politica era consociativa, ora è l’opposto. Che cosa è intervenuto nel mezzo?

Prima c’era una sorta di patto non scritto: la Dc governava e il Pci faceva opposizione. Lo stesso Palmiro Togliatti diceva ai suoi: “Sarebbe sbagliato andare al governo perché non saremmo in grado”. In questo senso si può parlare di consociativismo, con tutti gli errori che sono stati commessi in campo sia politico sia sindacale sia economico. Ma con la caduta del muro di Berlino si è buttato via il bambino con l’acqua sporca. Gli stessi “corpi intermedi”, come sindacati, Confindustria e associazioni cattoliche, sono stati dipinti come una zavorra rispetto a un malinteso decisionismo.

Quali sono state le conseguenze?

E’ aumentato lo iato tra la classe politica e la gente, che tutti i giorni si confronta con drammi come la crisi economica e la paura degli immigrati. E’ come se ognuno fosse stato abbandonato a se stesso, finché arrivano i pescatori di vongole di Gorino a dire: “Non vogliamo l’altro”. E ciò proprio perché non si vedono riconosciuti i propri diritti, si ritiene di avere molto poco e si ha paura di perdere anche quel poco.

 

Perché con il referendum è in gioco la convivenza civile?

I cittadini accendono la tv e vedono dei politici che si aggrediscono tra loro, e quindi leggono questo referendum come una sorta di ordalia o come un quesito a favore o contro il governo. I più non riescono invece a cogliere l’essenza vera di questa riforma. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il recente comunicato di Comunione e Liberazione vanno in questa direzione, richiamando al senso della convivenza civile, all’importanza di discutere i contenuti e alla necessità di non perdere mai il rispetto dell’altro.

 

Mattarella, citato nel volantino di Cl, invita a guarire dallo “spirito di fazione”, dalla sindrome del nemico. Come “recuperare il senso del vivere insieme”?

Occorre abbandonarsi al dubbio, cioè pensare che quello che dice il nostro contraddittore magari potrebbe anche essere vero. E quindi starlo a sentire, ascoltare le argomentazioni, aprirsi all’altro. Capisco che possono essere belle parole che rischiano di essere staccate dalla realtà quotidiana. Io credo che sulla base di questi appelli dovrebbe essere la stessa classe dirigente, cioè i politici, Matteo Renzi e i suoi avversari, a non insultarsi, a non accusarsi l’uno con l’altro di cose altre rispetto a quello che invece è in discussione in questo referendum.

 

(Pietro Vernizzi)





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