RETROSCENA/ Chi c’è dietro la nuova inchiesta che fa tremare Renzi

- Gianluigi Da Rold

Un nuovo imprevisto per Renzi: con le dimissioni del ministro Guidi, si affaccia all’agenda politica un nuovo problema, quello dei pm. Che si somma a troppi e gravi fronti. GIANLUIGI DA ROLD

boschi_zoom2R439 Maria Elena Boschi (Infophoto)

E’ vero che il governo Renzi sia in “panne”, che appaia quasi incapace di affrontare questa crisi infinita che sembra segnare il declino italiano. Con la consueta capacità di analisi, domenica sul sussidiario, Stefano Cingolani ha delineato “il fine settimana terribile per il governo”, alla fine di una serie di passi nella politica economica per nulla convincenti. Ma detto questo, riconosciuta la pochezza di questo esecutivo, non è possibile che ritorni ancora una volta, in un momento di crisi istituzionale, una nuova ventata giustizialista, un nuovo sussulto giudiziario, una nuova invasione di campo dell’ordine della magistratura nella vita di un governo italiano.

Forse non così devastante e invadente come nel 1992, ma sicuramente come avvenne nel 1994 e poi ancora con il secondo governo Prodi, con l’affare Mastella (per citare alcuni casi), i pm hanno terremotato il governo del “rottamatore”, rimettendo in discussione l’agenda politica del Paese.

A questo punto, il referendum sulle trivelle del 17 aprile, di cui gli italiani non hanno probabilmente nemmeno afferrato il senso, diventa un appuntamento-chiave, una nuova “resa dei conti”, dove Matteo Renzi può essere sconfitto pesantemente. Con conseguenze difficilmente valutabili. E questo appunto per l’azione della magistratura.

Non si capisce proprio perché in un Paese come l’Italia, dove tutti i “grandi pensatori” avvertono una sorta di complesso di inferiorità verso i “paesi più civili” e cercano di mettersi al “passo con i tempi” in tutti i campi, non si senta la stessa necessità in campo giudiziario, varando finalmente la separazione delle carriere e magari rivedendo il meccanismo dell’inevitabilità dell’azione penale. Questo è un tabù, che neppure la codificazione per decreto degli harem (maschili e femminili) potrebbe smuovere.

Nella vicenda in questione da qualche giorno, la signora Federica Guidi, ex ministro allo Sviluppo economico (si fa per dire), non si è cero comportata con l’accortezza di un Richelieu. Il tratto confindustriale italiano si è visto in tutta la sua greve ampiezza. Al sottoscritto ritornano sempre in mente le parole di Giorgio Amendola: “Borghesia stracciona”. E forse riportava un pensiero di un suo influente amico, Raffaele Mattioli.

Ma ricordato questo giudizio severo, vorremmo sapere: quale reato ha commesso la signora Guidi? E la signorina Maria Elena Boschi, influente ministro per le Riforme costituzionali, che è una “bellona” sgomitante ma dal fascino per nulla intrigante, anche lei, che reato avrebbe commesso? Eppure tutte e due le “ragazze” devono andare davanti al magistrato. E si riparla di inopportunità comportamentale, mentre si dovrebbe definirla per quella che è: incapacità politica.

Intanto l’indagine si allarga. Si parla di disastro ambientale. Viene indagato il capo di Stato Maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi, che appare risvegliato da una grandinata improvvisa. Si chiede l’arresto per il compagno-fidanzato della Guidi, l’ansioso telefonista “rompiballe” Gianluca Gemelli.

Tutto questo terremoto avviene mentre, guarda caso, c’è una disputa di quattrini (170 milioni) tra la Basilica e la Puglia. Quest’ultima, che rimarrebbe senza royalties derivanti dai prodotti energetici, è guidata da un esponente del Pd, ex magistrato, Michele Emiliano, lanciato nel ruolo di “alter ego” di Matteo Renzi nel partito, ma anche ultimo difensore del regionalismo e delle “acque etniche” (come ha detto in una trasmissione televisiva), grande animatore del referendum.

Sullo sfondo si stanno svolgendo le nomine dell’Associazione nazionale magistrati (il sindacato con la toga, altra prerogativa di Paesi civilissimi!) dove pare che esca come presidente il “liberal” al contrario, Piercamillo Davigo, che segnerebbe uno spostamento dalla sinistra togata a quella puramente corporativa. Davigo sarebbe un altro “dottor sottile” che si batte contro il crimine, ma anche sui carichi esigibili, cioè la quantità di lavoro che ogni magistrato svolge, che non gradisce la responsabilità civile del giudice e il taglio delle ferie.

Tutti questi magistrati si battono in definitiva per la morale e contro la corruzione, ma sono quasi tutti incazzati (chissà perché?) contro Raffaele Cantone, magistrato anche lui, ma ahimè diventato presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. Insomma uno sconquasso e una linea nitida, lampante, che collega l’azione della magistratura, di qualche ex magistrato alla “novità” del Movimento 5 Stelle, nuovo soggetto politico probabilmente designato a governare il declino italiano, scambiato per “decrescita felice”, deindustrializzazione, ritorno al “bucolico spinto”, con pale eoliche che magari ti arrivano in testa mente cammini per la strada.

Una simile sceneggiatura non la poteva immaginare nemmeno il re del teatro dell’assurdo, Eugène Ionesco.

Sia chiaro che questa nuova ondata giustizialista, “orchestrata” con una tempistica significativa, non giustifica l’inadeguatezza e la povertà politica del governo Renzi. Il “rottamatore” è appena ritornato da un viaggio flop negli Stati Uniti, dove si può ricordare solo una “photo opportunity”, in piedi, con il presidente Usa, Barack Obama. Ma già la “fuga in America” di Renzi era contrassegnata da una serie di problemi da affrontare in modo sempre più incalzante: la Libia, il caso Regeni, il problema dei migranti con la chiusura della rotta balcanica. E come se non bastasse il primo ragguaglio sui nuovi dati economici, con una deflazione confermata, una perdita di posti lavoro e una piccola ripresa della disoccupazione dopo l’esaurirsi dei primi incentivi fiscali. Il tutto, condito da una contestazione all’interno del Pd da parte della minoranza, con le solite dichiarazioni velenose di Massimo D’Alema e anche di Pier Luigi Bersani.

Il problema è che di fronte a questi dati la percezione degli italiani è ritornata negativa. Si dice che nell’Ufficio studi di Mediobanca si stiano rivendendo le stime di crescita del 2016 dell’Italia e si pensa che, al momento, si resterà sotto l’1 per cento, ancora una volta. 

Negli ambienti finanziari circola ormai la voce che, al di là di ogni rassicurazione, il sistema bancario è da riformare, se non da reinventare e la spinta alla cultura delle “Spa”, predicata da Banca d’Italia, comincia a non convincere: “Le banche sono imprese private che possono vendere la “emme” di Cambronne, ma non possono fallire. Intanto fregano i risparmiatori”. Intanto, si vedrà in settimana se il sigillo sulla fusione tra Bpm e Banco Popolare avverrà senza contraccolpi.

Ma c’è un tale clima di sfiducia in giro che, in questo week end, i francesi di Vivendi, nuovi padroni di Telecom, stano lavorando con i rappresentanti di Mediaset per chiudere al più presto le prime sinergie, a scanso di equivoci e sorprese di carattere politico.

C’è infine l’eterno problema della crescita, con investimenti pubblici che non si possono fare perché non si diminuisce la spesa corrente e investimenti privati che non si riescono a fare per una pressione fiscale demenziale. Come si possa uscire da questa tenaglia micidiale è impossibile dirlo. Si può comprendere la vendita di un’azienda come Loro Piana ai francesi di Lvmh per due miliardi di euro. Ma quando si arriva a vendere il torrone e i gianduiotti Pernigotti ai turchi, forse c’è qualche cosa che non funziona.

In questo modo, oggi, Renzi affronta la famosa “resa dei conti” (ormai una delle tante) nel suo Pd, che si rivela sempre di più la fotocopia del vecchio compromesso storico fallito negli anni Settanta. Ma non è questa la vera resa dei conti che aspetta Renzi. Secondo un personaggio, solitamente ben informato: “La strada di Matteo è talmente lastricata di ostacoli e di prove difficili che basta un soffio di vento, ormai, per farlo cadere”.





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