DIETRO LE QUINTE/ 5 giugno, divorzio Berlusconi-Salvini
Per il centrodestra l’unica sfida che conta davvero è quella romana. Siamo un po’ come alle prove libere di un gran premio di Formula uno. Il commento di ANSELMO DEL DUCA

Per il centrodestra l’unica sfida che conta davvero è quella romana. Siamo un po’ come alle prove libere di un gran premio di Formula uno. Si decide la griglia di partenza della corsa che conta davvero, le elezioni politiche, vicine o lontane che siano. E comunque vadano le cose sarà un trauma, dal momento che i due giovani alleati di Berlusconi non vedono l’ora di schiaffargli in faccia un insuccesso per costringerlo a quel passo indietro che il vecchio Cavaliere non sembra ancora intenzionato a fare.
Per adesso Berlusconi insiste su Alfio Marchini. Lo fa un po’ per coerenza, e un po’ perché i sondaggi continuano a indicarlo come il più competitivo nell’eventualità di un ballottaggio con la portabandiera grillina, Virginia Raggi.
Al ballottaggio, però, Marchini rischia seriamente di non arrivare mai. Le ultime indagini demoscopiche precedenti al black out sui sondaggi scattato venerdì scorso, fotografavano un candidato civico che arranca e sembra in lento declino di consensi, relegato al quarto posto, lontano da quella lotta per la seconda piazza che sembra interessare quasi esclusivamente Roberto Giachetti e Giorgia Meloni.
Certo, in due settimane molte cose possono cambiare, ma ad oggi la fotografia più vicina alla realtà sembra questa. E fra le disordinate truppe berlusconiane (o, meglio, fra quel che ne rimane) ha cominciato a serpeggiare la paura dell’irrilevanza e della marginalizzazione.
La più risoluta è stata Daniela Santanchè, che ha preso carta e penna per chiedere a Berlusconi di abbandonare Marchini al suo destino per sostenere la Meloni, considerata l’unica ad avere chances di arrivare al ballottaggio. A lei nell’appello per un voto disgiunto si è unito anche Mario Mauro.
In questa situazione di confusione pressoché assoluta i retropensieri si sprecano, e negli ambienti della destra romana c’è persino chi sospetta che Berlusconi il voto disgiunto potrebbe sponsorizzarlo, ma sottobanco, per dare una mano a Giachetti ad arrivare al ballottaggio, facendo in modo che il prevalere della Meloni su Marchini assomigli tanto a una vittoria di Pirro. I fantasmi del “patto del Nazareno”, insomma, sono difficili da dissipare.
Ufficialmente Berlusconi scaccia ogni sospetto di “intelligenza col nemico”, anzi conferma che il nemico rimane Renzi, contro cui spara cannonate di grosso calibro. Nulla di nuovissimo, sia chiaro, ma ribadire oggi che quello attuale è il terzo governo non eletto, abusivo, illegittimo, e che il combinato disposto di Italicum e riforma costituzionale è pericoloso per la democrazia serve per allontanare i sospetti più malevoli.
Di più, Berlusconi ridimensiona il caso Roma, e assicura che alle politiche il centrodestra si ritroverà compatto e competitivo. Ma sarà il risultato del 5 giugno a definire i nuovi equilibri, forse anche a provocare nuovi spostamenti fra i partiti.
Da Forza Italia in direzione Lega sono fuoriusciti a marzo il fiorentino Guglielmo Picchietta pochi giorni fa la napoletana Giuseppina Castiello. Ma verso Salvini guardano altri, dalla stessa Santanchè a un insospettabile come Gianfranco Rotondi. Tutti quelli che non possono dialogare con Renzi (c’è la fila da Verdini), lanciano segnali al Carroccio 2.0.
Per Berlusconi, insomma, la via è stretta. E Salvini non sembra disposto a fare sconti. Anche se i sondaggi danno da settimane la sua Lega ferma, si sente più forte del vecchio leader e gli manda a dire che dopo il voto amministrativo dovrà scegliere. Non potrà cioè stare né dalla parte della Merkel in Europa, né in Italia flirtare con arnesi della vecchia politica come Mastella o Fini. E sulla leadership del centrodestra, tranchant: “Ad oggi il candidato premier è il segretario della forza più forte”, ha scandito in tv. Ogni altra ipotesi, ad esempio, Zaia o Maroni, viene per il momento messa da parte.
Il divorzio con Berlusconi sembra sempre più vicino, e solo un passo indietro di Berlusconi potrebbe evitarlo. Sono due visioni antitetiche del centrodestra ormai a scontrarsi, un’anima centrista e una movimentista. Salvini è disposto a correre il rischio di una porta in faccia da parte dei grillini (regolarmente arrivata) nel dire che è pronto a votare la Raggi al secondo turno, qualora la Meloni non c’è la facesse. Per lui ciò che è più importante è affermare che il vero nemico da battere risponde al nome di Matteo Renzi.
Anche se il leader leghista sa che non esistono le condizioni per alcuna intesa con il Movimento 5 Stelle, a Berlusconi queste uscite fanno accapponare la pelle. E con lui a molti degli ultimi colonnelli di Forza Italia, compresa la sua attuale compagna Francesca Pascale, che nelle scorse settimane si era lasciata andare a giudizi pesantissimi contro il giovane capo leghista. La linea Le Pen-Trump (e l’austriaco Hofer) non è la più gradita dalle parti di Arcore. Dopo il voto del 5 giugno, però, Berlusconi difficilmente potrà esimersi da una parola chiara sui temi posti da Salvini. E allora un voto in più alle amministrative potrà fare la differenza.
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