“Il desiderio di bene e giustizia ha smesso di fondare un’autentica democrazia perché siamo un popolo privo di strutture comunitarie. Questo desiderio non può fondarsi su una volontà individuale; può fondarsi solo su uno spirito comunitario; la comunità rende forte questa stessa aspirazione e coloro che la sostengono”. Sono le parole di Luciano Violante, ex presidente della Camera dei deputati ed ex presidente della Commissione Antimafia, che commenta così il volantino di Comunione e liberazione dal titolo “La politica è un bene”. Nel volantino si afferma: “E’ questo desiderio, come bandiera della libertà umana, che fonda lo spirito di un’autentica democrazia: l’affermazione e il rispetto dell’uomo nella totalità delle sue esigenze di verità, bellezza, giustizia, bontà e felicità”.
Nel volantino si tenta la diagnosi di un momento critico e inedito per il Paese. La condivide?
Certamente il momento è atipico. La nostra è sempre stata una democrazia difficile, ma nell’attuale fase stiamo registrando un particolare scollamento tra società e sistema politico. Dall’altra c’è una forte tendenza alla demagogia e all’uso strumentale di ogni argomento politico. E’ in atto una narrazione criminale del Paese a opera dei mezzi di comunicazione, che risulta totalmente autodistruttiva. L’immagine dell’Italia che ne consegue per un verso è debilitante e dall’altra crea deresponsabilizzazione rispetto alle scelte politiche, perché evidentemente se tutto va male è chiaro che non c’è bisogno di impegnarsi. Sono questi gli aspetti sui quali credo che si debba intervenire per imporre delle correzioni. Bisogna trarre coraggio dal fatto la maggioranza dei cittadini è per fortuna su tutt’altra lunghezza d’onda. Bisogna dar loro voce.
In che senso parla di deresponsabilizzazione?
Se tutto va male che senso ha impegnarsi? Il volantino di Cl rompe il ghiaccio e dice la verità, dice che bisogna impegnarsi.
Perché il desiderio di bene e di giustizia ha smesso di fondare un’autentica democrazia?
Perché siamo un popolo senza strutture comunitarie. Questo desiderio non può fondarsi su una volontà individuale; può fondarsi solo su uno spirito comunitario; la comunità rende forte questa stessa aspirazione e coloro che la sostengono. In sostanza la dissoluzione del principio stesso di comunità nel mondo politico e sociale porta all’indebolimento di questi valori e sentimenti.
Per don Giussani l’uomo ha bisogno di un ideale e di una speranza. Ci sono ancora e dove si trovano?
Ci sono, ma non a livello generale. Le classi dirigenti hanno due compiti: risolvere i problemi ed educare i cittadini con i comportamenti. Non so se stiano adempiendo al primo compito, ma non lo stanno certamente facendo per quanto riguarda il secondo. E quindi abbiamo il vuoto che il volantino di Cl adesso denuncia.
Lei incontra ancora dei giovani che vogliono fare politica?
Sì, incontro giovani che vogliono fare politica e soprattutto desiderano ricevere una formazione politica.
Che cosa si può fare per trasformare grandi città come Roma e Milano in una “casa abitabile”?
C’è bisogno che il sistema democratico si dimostri inclusivo, non esclusivo. Deve essere capace di accogliere tutti coloro che sono ai margini, perché si sono collocati ai margini o perché sono stati espulsi dai processi sociali. La democrazia non esclude ma include. In secondo luogo occorre una democrazia competente e onesta, che faccia prevalere il bene comune sull’interesse privato. Milano è messa meglio rispetto a Roma. In ogni caso è sperabile che gli elettori delle due città scelgano amministrazioni in grado di affrontare i loro problemi.
Nel volantino si chiama in causa la crisi del 1992, citando un’intervista a don Giussani dell’epoca. Qual è stata la sua esperienza personale e politica in proposito?
Io credo che l’attuale momento sia diverso. Nel 1992 c’era stato il crollo del muro di Berlino, la fine del bipolarismo internazionale, Maastricht che incominciava a porre limiti alla spesa pubblica. Non era quindi più necessario finanziare i partiti, perché non c’era più il rischio dell’avanzata comunista. I comunisti non servivano più a fronteggiare lo strapotere dei tradizionali partiti di governo.
Quali furono le conseguenze di questa situazione?
La vicenda di Tangentopoli accadde in un cambiamento d’epoca. Tutti quelli che avevano pagato i partiti cominciarono a denunciare quanto era accaduto. Adesso il contesto è diverso; ci stiamo misurando piuttosto con la crisi del partito politico in quanto tale. Oggi il partito non corrisponde più a una comunità, ma è una struttura verticale prevalentemente di potere con un prevalere degli individui. Lo sforzo che bisogna mettere in atto è tornare alla comunità politica e quindi all’impegno.
(Pietro Vernizzi)