Parafrasando Giovanni Guareschi, si può dire che nel voto segreto “Dio ti vede e Stalin no”. E infatti è nel voto segreto che si nascondono le maggiori insidie sulla via dell’approvazione della riforma della legge elettorale. L’unica previsione possibile è che chi si oppone a viso aperto al varo del Rosatellum bis le proverà tutte, e spera di trovare nel segreto dell’urna alleati altrimenti inconfessabili fra le fila dei partiti che hanno sottoscritto l’accordo e che — sulla carta — avrebbero una solida maggioranza numerica.
Per i 5 Stelle, ma anche per Fratelli d’Italia e Articolo 1 quella sulla legge elettorale è la battaglia della vita. Stoppare o meno la riforma cambia radicalmente il loro orizzonte politico. Per i grillini la cosa è lampante: il marchingegno che porta il nome del capogruppo dem a Montecitorio li vede come vittime sacrificali, puntando tutto sulla difficoltà che Di Maio e company dovrebbero incontrare nei collegi uninominali. Le prime stime sui seggi che potrebbero essere assegnati con il nuovo sistema confermano la discesa da 190/200 rappresentanti alla Camera a 140/150, eliminando dallo scenario la possibilità di un governo pentastellato con l’appoggio esterno di leghisti e seguaci della Meloni.
Per Fratelli d’Italia la beffa è duplice: non solo cancella l’ipotesi di una convergenza con i grillini, ma schiaccia il partito della destra fra le due formazioni del centrodestra, assai più robuste, Lega e Forza Italia, togliendo ogni spazio di manovra. Simile la situazione di Bersani e soci: o allearsi con il Pd, o condannarsi all’irrilevanza, con il rischio di non riuscire a superare la soglia del 3 per cento, anche per via della chiamata al “voto utile” che certamente partirà da Renzi. Il rischio, insomma, dell’estinzione politica.
In aula alla Camera sarà quindi battaglia senza esclusione di colpi. Gli emendamenti da votare sono relativamente pochi, circa 200. Ma bastano 30 deputati per chiedere il voto segreto, che è una normale arma parlamentare, nonostante Rosato la definisca “uno scandalo”.
Naturalmente Pd, alfaniani, leghisti e berlusconiani non staranno a guardare. Le contromisure regolamentari sono già allo studio, incluso il ritorno del famigerato “canguro”, emendamenti cioè congegnati in modo tale da precluderne molti altri, come visto in altre battaglie d’aula, soprattutto al Senato. Le materie scivolose sono tante, dalle preferenze reclamate da Alleanza Popolare e Udc, sino a trabocchetti come la proposta di escludere chi è ineleggibile (leggi Berlusconi) dal poter essere indicato come “capo della forza politica”. Sia chiaro che il trabocchetto riguarda l’ala giustizialista del Pd, che potrebbe essere tentata di dare un pizzicotto a Renzi e Berlusconi, con la speranza che tutto salti su una questione in apparenza marginale. Esattamente come fu a giugno l’emendamento anti Svp su cui naufragò il vascello del Germanellum, che pure sembrava incamminato verso l’approvazione.
Di fronte ai precedenti la cautela è d’obbligo. E in mano al governo rimane un’arma finale, la “bomba atomica” della questione di fiducia. E’ già avvenuto sull’Italicum, ma stavolta vi sono due ordini di problemi.
Il primo è procedurale: la fiducia fa cadere tutti gli emendamenti, ma non evita il voto finale sulla legge a scrutinio segreto. Il secondo problema è politico: Gentiloni non è Renzi, e farà di tutto per evitare una mossa che i 5 Stelle, mettendo avanti le mani hanno definito indegna. La battaglia di Montecitorio sarà lunga e incerta.