Ha parlato per circa 12 minuti il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il suo messaggio di fine anno agli italiani è stato secco e essenziale, con il suo solito stile che appare l’esatto contrario di quello dei toni dell’enfasi. Forse è la stessa figura del Presidente, il suo modo di parlare che offrono la migliore spiegazione dei problemi da affrontare in questo momento con la dovuta serietà.
Era quasi doveroso, più che scontato, il ricordo dell’anniversario della Costituzione: 70 anni che hanno garantito, salvaguardato, fondato la nostra democrazia sulla libertà e le libere elezioni. Che ci hanno garantito la pace.
Non è stato un ricordo casuale, o meglio si potrebbe dire di maniera, quello di Mattarella, ma la volontà precisa di ribadire che nella Costituzione, nei principi che l’hanno ispirata, nei valori della democrazia rappresentativa, vanno trovate le soluzioni ai problemi che si devono affrontare, in quella che poi il Presidente definirà come un’era nuova, dove sta cambiando tutto, soprattutto il rapporto dell’uomo rispetto all’organizzazione della produzione, del lavoro.
Ma c’è al momento la continuità storica della democrazia che va salvaguardata e che Mattarella ricorda e sottolinea tra passato, presente e futuro. Ed è una continuità che va difesa sopra ogni cosa, mentre si conclude questa diciassettesima legislatura contraddittoria.
Qui il messaggio del Presidente della Repubblica è chiarissimo, calzante e di replica, rispetto alla sfiducia che si avverte un po’ in tutto il Paese, nel valore della democrazia. Sergio Mattarella vive sul Colle più alto di Roma, al Quirinale, nell’ex Palazzo dei Papi, ma ha una precisa conoscenza della situazione, della realtà e quindi della sfiducia che il paese, nel suo complesso, nutre oggi per le istituzioni della Repubblica.
In questo passaggio decisivo del suo discorso il Presidente spiega, anche se in modo volutamente non allarmante, tutti i suoi timori. E’ infatti al corrente dei dati negativi sulla sfiducia verso i partiti politici attuali, sulla sfiducia del ruolo del Parlamento e dell’azione del Governo e persino delle amministrazioni regionali e comunali. Teme anche lui la possibilità di una astensione massiccia al prossimo voto di marzo, all’inaugurazione della diciottesima legislatura e di conseguenza lancia un appello, “mi aspetto un ampia partecipazione al voto”.
Lo dice in nome e nel solco della storia della democrazia repubblicana italiana, dove il voto è sempre stato ampio, articolato, partecipato, diverso nella sua consistenza dalla storia delle altre democrazie occidentali. Mattarella sembra voler dire che una massiccia astensione al voto sarebbe una caduta, una rinuncia alla sovranità popolare che è stata invece la grande conquista dell’Italia di 70 anni fa. E questa conquista Mattarella la vuole ribadire proprio di fronte alla sfiducia attuale. Il senso principale del suo discorso è questa difesa della democrazia costituzionale e della chiamata al voto del 4 marzo, quella che prepara la diciottesima legislatura.
E’ quasi didascalico il Presidente: “Le elezioni aprono come sempre una pagina bianca; a scriverla saranno gli elettori e, successivamente, i partiti e il Parlamento. A loro sono affidate le nostre speranze e le nostre attese. Mi auguro un’ampia partecipazione al voto e che nessuno rinunzi di concorrere a decidere le sorti del nostro Paese”. Il Presidente si rivolge alle matricole del voto, i “ragazzi del ’99” (1999) che per la prima volta andranno alle urne. E fa un paragone con il ben diverso destino di quei ragazzi del ’99 (1899) che fecero gli ultimi anni della prima guerra mondiale e morirono nelle trincee.
Fatto il grande richiamo, sottolineata un’esigenza impellente, Mattarella tocca altri temi di grande attualità: “Abbiamo di fronte oggi difficoltà che vanno sempre tenute presenti. Ma non dobbiamo smarrire la consapevolezza di quel che abbiamo conquistato: la pace, la libertà, la democrazia, i diritti. Non sono condizioni scontate, né acquisite una volta per tutte. Vanno difese con grande attenzione, non dimenticando mai i sacrifici che sono stati necessari per conseguirle”.
E qui Mattarella fa un richiamo ulteriore di vigilanza democratica da ricordare a tutti i livelli della vita sociale: “Non possiamo vivere nella trappola di un eterno presente, quasi in una sospensione del tempo, che ignora il passato e oscura l’avvenire, così deformando il rapporto con la realtà”.
Non rinuncia a uno sguardo sul futuro. Dice Mattarella: “La parola futuro può anche evocare incertezza e preoccupazione. Non è sempre stato così. Le scoperte scientifiche, l’evoluzione della tecnica, nella storia, hanno accompagnato un’idea positiva di progresso”. Ma Mattarella spiega: “I cambiamenti, tuttavia, vanno governati per evitare che possano produrre ingiustizie e creare nuove marginalità. L’autentica missione della politica consiste, proprio, nella capacità di misurarsi con queste novità, guidando i processi di mutamento”.
E’ questo l’invito che Mattarella fa alla politica e indirettamente invita i cittadini a scegliere chi sa portare avanti una simile politica, chi sa declinare il nuovo con gli strumenti della democrazia.
Ringrazia infine tutti il Presidente. Non dimentica chi ha sofferto e soffre in questo periodo. Si riserva infine una speranza. Dice: “Si è parlato, di recente, di un’Italia quasi preda del risentimento. Conosco un Paese diverso, in larga misura generoso e solidale. Ho incontrato tante persone, orgogliose di compiere il proprio dovere e di aiutare chi ha bisogno. Donne e uomini che, giorno dopo giorno, affrontano con tenacia e coraggio le difficoltà della vita e cercano di superarle”.
E questa l’Italia che Mattarella vuole scoprire e a cui vuole affidarsi.