“Diciamo che verso sera tardi è più difficile parlarci”, ha detto ieri Pier Carlo Padoan riferendosi al Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e rispondendo a una domanda dell’incredibilmente prestigiosa, a dispetto del titolo, trasmissione radiofonica “Un giorno da pecora”. Chiaro? Con un giro di parole, Padoan ha confermato che Juncker alza il gomito. Quel che Matteo Salvini aveva detto l’altro ieri, col suo solito tono da “tombini di ghisa” – come l’ha immortalato Maurizio Crozza -, l’ha ripetuto più elegantemente il ministro findus dei governi Renzi e Gentiloni, l’algido funzionario economico internazionale, già al Fondo monetario e poi all’Ocse, capace di parlare la stessa lingua dei grand-commis di Bruxelles senza far scandalizzare nessun e senza mandare in fibrillazione lo spread.
Alla fine della fiera, sembra proprio che l’Europa abbia un capo ubriacone. Ma c’è qualcosa, in questa desolante constatazione, che va ben al di là ed è ben peggiore dell’asserita dipendenza verso il buon vino dell’ex premier di quel piccolo paradiso fiscale chiamato Lussemburgo che è Juncker, inopinatamente proiettato nell’empireo europeo esclusivamente dagli opposti veti di Germania e Francia e proprio in virtù del fatto di non contare nulla lui e del non contare nulla del suo Paese, vasetto di coccio tra enormi cisterne di ferro. Questo qualcosa di peggio è la crisi clamorosa e palese della classe dirigente europea. Anzi, diciamolo meglio: “delle” classi dirigenti europee. Quella degli ultrasessantenni ma anche quella dei trenta-quarantenni. Quelle di sistema e quelle anti-sistema.
Perché? Proviamo a farci due domande volando da Bruxelles verso Sud per neanche un’ora e atterrando a Genova. Qui il governo giallo-verde ha appena insediato come commissario alla ricostruzione del ponte il sindaco Marco Bucci, primo sindaco di centrodestra a Genova dopo decine d’anni, che i Cinquestelle non avrebbero voluto e hanno tentato di “evitare” nominando al suo posto un top-manager di Fincantieri, Claudio Gemme, e poi pensando al bravissimo direttore del centro di ricerche Iit Roberto Cingolani ma invano: non sono parsi adatti, ed ecco quel che politicamente almeno per i grillini è stato un ripiego.
Dunque cosa accomuna il caso Juncker e il caso Bucci? La difficoltà di trovare classe dirigenti all’altezza. Juncker non lo è, all’altezza, ed è stato messo lì proprio per questo, proprio grazie al suo non essere all’altezza, che tranquillizzava tutti i contraenti in mala fede di quel patto di solidarietà tradita che continua a chiamarsi Unione europea, ma dovrebbe chiamarsi Disunione europea. Bucci si rivelerà, c’è da auspicarlo, bravo anzi bravissimo, ma non certo in virtù della sua laurea in chimica. È stato messo lì perché i due partiti della coalizione di governo non si sono messi d’accordo su un altro nome e hanno ripiegato su di lui, ma una scelta convinta va disegnata in modo diverso…
Dunque chi ha poltrone da assegnare non dispone di vivai professionali. Chi occupa poltrone elevate spesso non è all’altezza. I giovani non sanno, i meno giovani non possono perché, se bravi, lo sono diventati lavorando nel sistema, e sono quindi tutti tacciabili di conflitto d’interessi. Da cosa è dipeso? Nessun “gomblotto”. È essenzialmente dipeso dalla sedimentazione dei poteri e dal ’68. Il primo fenomeno ha determinato, non solo in Italia, una burocratizzazione dell’alta formazione di cui è figlio legittimo per esempio Emmanuel Macron, il secchionissimo presidente francese, allevato per l’Empireo dalla Massoneria, catalizzatore di mille speranze e poi disperatamente in caduta di consensi. Il secondo fenomeno ha inoculato nel sistema una tendenza autoassolutoria alla demeritocrazia, al non studiare, a farfugliare scuse… Ma forse i Millennials lo capiranno che la classe politica è lo specchio deformante della società italiana, se i politici sono deludenti è perché lo siamo anche noi, e l’unico antidoto si racchiude nella formula: “Studiare, studiare e studiare”.