Ho sempre pensato che le “Riflessioni sul Cile” scritte nel settembre del ’73 per Rinascita da Enrico Berlinguer all’indomani del colpo di stato militare che aveva defenestrato e ucciso Salvador Allende, fossero in realtà frutto di un pensiero maturato prima di quel drammatico settembre. Nel senso che per Berlinguer i fatti cileni furono solo un pretesto per rendere le proprie tesi più accettabili per un pubblico ortodosso.
Ricordo ancora quella sera, di ritorno dall’ennesima manifestazione contro il golpe di Pinochet, quando dopo aver ricollocato le bandiere e gli striscioni nello stanzino dove si teneva tutto l’armamentario, il vicesegretario della sezione – un giovane da un futuro importante, Vittorio Zambardino – ci chiese di accomodarci intorno al grande tavolo per le riunioni, distribuì a ciascuno di noi la copia di uno speciale dell’Unità che aveva ristampato i tre articoli, e iniziò la lettura ad alta voce, interrompendosi di tanto in tanto per commentare.
Avevo già letto le riflessioni sul Cile, perché ero tra quelli che acquistavano Rinascita il martedì appena arrivata in edicola e la leggevo dall’inizio alla fine in un sol fiato. Nuovamente avvertii in quegli articoli qualcosa di molto profondo come un secondo significato ma non del tutto esplicitato. Dovevi capirlo da te, dovevi arrivarci da solo: Berlinguer nello scriverlo si era comportato proprio come l’insegnante che sa che hai studiato e cerca di farti dire la risposta giusta con un piccolo aiutino.
Berlinguer affermava che la sinistra non può governare un grande paese se non insieme alle forze che sono espressione del mondo cattolico. Valeva per il governo di sinistra in Cile, figuriamoci qui in Italia dove la Chiesa era nata. Non serviva a nulla arrivare al 51%, pretendere di governare con la maggioranza risicata dei voti se non si lavorava a conquistare all’idea del cambiamento quelle forze, le masse cattoliche. E aggiungeva perentorio: non basta che si astengano, devono collaborare.
Ma c’è l’aveva con la DC? Chiedevano i più increduli. Certo che si riferiva alla DC. Dovremmo provare a convincerli, con le idee e con le lotte, si diceva. E poi i cattolici non erano solo la DC, era la Chiesa, il grande mondo delle associazioni, le comunità in fermento, i tanti credenti in mezzo a noi.
Eravamo alla vigilia del referendum sul divorzio e il nostro pensiero correva ai giovani cattolici che vedevamo muoversi diversamente nel quartiere. Le messe della domenica con la musica beat, le mostre umanitarie sul Biafra, le fiaccolate per le comunità massacrate in giro per il mondo per motivi religiosi. Ragazzi come noi che fino a quel momento avevamo ritenuto degli estranei, troppo lontani dalla dura lotta politica che conducevamo nel quartiere, nelle fabbriche e nelle scuole.
Anche gli operai dissero che in fabbrica avevano parlato del Cile con i loro compagni cattolici della Fim e di quello che aveva scritto Berlinguer, e che tutti erano molto contenti nella riunione del coordinamento FLM, anche perché tutti si sentivano dei piccoli Berlinguer nell’aver anticipato da tempo la sua linea.
A scuola non andò proprio così perché fummo aspramente attaccati, e molti ragazzi si allontanarono da noi perché ci considerarono dei traditori del vero comunismo. E li ebbe inizio un’altra terribile storia.
Berlinguer viene oggi ricordato quasi esclusivamente per le sue battaglie intorno a quella che lui chiamava la “questione morale”, molto di moda in questi anni. Tema a dire il vero che Berlinguer sviluppò molti anni più avanti, dopo il 1980, alla chiusura della stagione dei governi di unità nazionale. Un periodo triste, di sconfitte molto dure, quando era diventato un uomo isolato e io stesso non riconoscevo più in lui il leader illuminato che mi aveva conquistato con quegli articoli del 1973. Che poi erano solo i mattoncini di una enorme costruzione che egli portò avanti con assoluta coerenza, ma che tutti noi aiutammo a erigere, ogni giorno, nei posti dove vivevamo, lavoravamo, studiavamo.
Svelare oggi quel segreto mai dichiarato esplicitamente che immaginavo racchiuso in quegli articoli, può essere una cosa utile. Il segreto secondo me è questo: un uomo di sinistra, all’epoca avrei detto un comunista, diventa migliore se incontra un cattolico. Una persona di sinistra ha dentro di sé una finestra su cui c’è scritto la parola “visioni” che funziona ad intermittenza. Spesso egli evita di guardarla perché considera più utile la tattica, l’inganno, il cinismo, la dura legge del più forte, giustifica la lotta politica, la ragion di stato e molto spesso più prosaicamente la ragion di partito. Vive così una grave doppiezza. A contatto con un cattolico autentico – non un cattolico che ha assunto le stesse brutte abitudini nell’esercizio del potere – quella finestra si riaccende, sprigiona nuova energia, ed ecco che l’uomo di sinistra torna ad essere “visionario”, un combattente imbattibile, perché torna a ragionare e quando parla trasmette dei sogni, ricolloca le cose nel giusto ordine, capisce i propri errori e ritorna ad essere fiero delle proprie idee ma soprattutto della propria esperienza umana.
Mi direte, bel nostalgico del compromesso storico. Vi rispondo, beh cosa altro è il PD, o meglio, cos’altro doveva essere il PD se non il coronamento del disegno berlingueriano degli anni ’70? Altro che inseguire modelli americani, maggioritari, tutto budget, primarie e ballottaggi all’ultimo voto.
No, non sono un nostalgico. O meglio, scrivo su questi temi perché proprio oggi che la sinistra è in questo stato, chiusa in un angolo e alla ricerca di idee e cose nuove da fare, mi sembra giusto condividere semplici spunti, come cercare di far riemergere quella finestra, tenuta chiusa per troppo tempo, su cui è scritto “visioni”.
E poi se proprio non ci riuscite provate a chiedere aiuto ad un amico.
Cattolico autentico, naturalmente.