Giusto per ribadire che la coalizione con Forza Italia alle elezioni regionali “non è ripetibile”, Matteo Salvini ha rispolverato ieri un grande classico populista: il “dagli al banchiere”. E l’ha fatto avendo al fianco Luigi Di Maio, che ha aggiunto la sua parte. I due si sono presentati a Vicenza all’assemblea dei truffati dalle banche venete dicendo che bisogna fare piazza pulita di Bankitalia e Consob, che presto arriveranno i risarcimenti dello Stato per i risparmiatori depredati nonostante le perplessità di Bruxelles, e che partirà una nuova commissione parlamentare d’inchiesta.
Martellare le banche è un pezzo facile, direbbe un musicista. E soprattutto consente di dirottare l’attenzione da altre questioni, tipo il rallentamento dell’economia e lo scontro diplomatico con la Francia. La faccenda francese è stata appaltata al premier Giuseppe Conte e pare che anche il presidente Sergio Mattarella si stia muovendo dietro le quinte per ricucire i rapporti prima che qualche altro ingranaggio s’inceppi dopo lo stop dato da Air France all’accordo con Alitalia. La Francia possiede molti titoli pubblici italiani e non sarà stato un caso che lo spread abbia subìto un rialzo dopo la crisi tra le due diplomazie.
Salvini a Vicenza a fianco di Di Maio è una “photo-opportunity” che fa il paio con quella dell’altro giorno assieme a Silvio Berlusconi in Abruzzo. Una foto, quest’ultima, “non ripetibile”. Il leghista sembra volere dare una mano all’alleato di governo alla vigilia di un voto in cui i grillini sono dati in forte ribasso, addirittura terzi in Abruzzo dietro il Pd.
È la politica del pendolo, quella che Giulio Andreotti battezzò “dei due forni”. Nonostante le fibrillazioni, la Lega non crede che sia ancora arrivato il momento di mandare a casa il governo. Anzi, meglio fare fronte comune per respingere i prevedibili attacchi contro l’esecutivo che arriveranno dall’establishment finanziario bombardato dai populisti. Ma c’è un altro effetto che Salvini ottiene con il puntello offerto a Di Maio: rende più facile ai grillini votare il “no” al suo rinvio a giudizio per l’affare Diciotti. Dando una mano a Di Maio, Salvini in realtà la dà a sé stesso.
Il voto di oggi ha certo un suo peso, ma non potranno essere le urne di una regione piccola come l’Abruzzo a determinare le sorti dell’esecutivo e a indurre Salvini a tornare alla coalizione del 4 marzo 2018, a meno che il M5s non tracolli. I berlusconiani vanno tenuti ancora sulla graticola, come un condimento che deve consumarsi da solo stando sul fuoco. Salvini attende i movimenti degli azzurri e soprattutto i risultati del voto locale: oggi l’Abruzzo, tra 15 giorni la Sardegna e poi Piemonte e Basilicata.
In via Bellerio sarebbe allo studio la creazione di un nuovo soggetto politico, una sorta di liste civiche regionali, in grado di calamitare i voti moderati senza inquadrarli per forza nel sovranismo leghista. Sarebbero il veicolo con cui mandare definitivamente fuori strada il vecchio centrodestra e i residui sogni di gloria di Forza Italia, per consolidare la leadership salviniana. Ma per questo ci vuole tempo e pazienza. E soprattutto occorre che le liste azzurre non abbiano troppo successo in queste elezioni di febbraio. Forza Italia si è data un obiettivo che oggi sembra una missione impossibile: arrivare al 10 per cento alle europee. Un ultimo disperato argine al dilagare salviniano.