“Alta si ergeva la reggia del Sole su immense colonne, tutta bagliori d’oro e fiammate di rame; lucido avorio rivestiva la cuspide del frontone e i battenti della porta emanavano riflessi argentei. E qui l’arte eclissava la materia, perché il dio del fuoco vi aveva cesellato i mari che circondano la terra, l’universo intero e il cielo che lo sovrasta”. Per ritemprare l’animo niente di meglio che ascoltare per l’ennesima volta l’audiolibro de “Le metamorfosi” di Ovidio letto dal compianto Vittorio Sermonti. Sicché, mentre risentivo l’incipit de il mito di Fetonte, che sta in apertura del libro secondo, chissà perché la vicenda di questo ragazzo testardo e presuntuoso, con un padre che non sa dirgli di no, per associazione di idee mi riportava alla politica dei giorni nostri.
E più precisamente alle polemiche inevitabili su quella brutta storia di questo reddito di cittadinanza. Che ancora prima di essere erogato determina indagini penali a carico di possibili percettori. E alla maniera caparbia (degna di migliore causa) con cui un giovane ministro di un giovane partito dei tempi in cui ci è dato vivere si è dato da fare per portarlo alla approvazione in Parlamento.
Il mito di Fetonte a sua volta ha dei punti in comune con quello di Icaro: il sole e il volargli troppo vicino. Sia perché si pretende di condurre il carro dello stesso dio Sole che per tutta la durata dell’universo è sempre stato tuo padre a guidare, e un motivo c’era.. sia a causa di ali di cera che sempre un padre aveva dato a un figlio perché volasse… ma con l’avvertenza di non andare troppo in alto.
Le metafore possibili con Fetonte – che ricatta il padre con il complesso di colpa della propria diretta discendenza (che guidando quel carro pericolosissimo il figlio riteneva di potere provare) – e Di Maio che condiziona un intero Paese, perché deve dimostrare di essere un vero leader a sua volta guidando senza freni il pericolosissimo carro del Governo italiano con la demagogia elettorale applicata alla realtà, si sprecano.
Non la voglio però fare tanto lunga. Come finisce il bellissimo racconto di Ovidio lo sanno tutti: Fetonte guidando senza riuscire a controllarlo il carro tirato dai cavalli incantati del Sole su e giù per l’orbita dell’universo – che corrisponde al passaggio di quella stella che ci riscalda nei vari angoli della terra – compie solo disastri, terremoti, maremoti, incendi, siccità, carestie.
A un certo punto addirittura sembra che l’universo stesso possa cessare di esistere. Finché Zeus decide di incenerirlo con un fulmine, pregando il padre di Fetonte (in lacrime) di riprendersi il controllo del carro e di ripristinare l’equilibrio nel creato.
Finirà così anche con questi giovanotti dei cinque stelle che si sono sentiti i prescelti del “guru” di un’ideologia approssimativa e paranoica? Derivata dalle visioni di Casaleggio senior e mischiata con un po’ di nostalgismo terzomondista portato in dote da giovani adepti della setta orfani da tempo dei miti di sinistra? In altre parole: “i fetenti” finiranno come Fetonte?
(Dimitri Buffa)