POLITICHE ATTIVE/ L’avvio possibile solo cambiando il Reddito di cittadinanza
Per le politiche attive del lavoro che il Governo vuole attivare sembra essenziale rivedere il Reddito di cittadinanza che ha molti difetti

Il programma del Governo Draghi per sistemare le politiche attive e sociali parte piano, ma come un motore diesel si sta concretizzando, nonostante le insostenibili provocazioni di Salvini occupino le giornate di lavoro dell’esecutivo molto più responsabile di partiti che lo compongono o di chi sta all’opposizione.
Sul reddito e pensione di cittadinanza è chiara la divisione sconcertante in due dell’Italia: i nuclei familiari che ne hanno usufruito al Sud e Isole sono 858.267 (ovvero 2.045,072 persone), al Centro 215.270 (431.046 persone) e 302.400 al Nord (595.357 persone) per un totale di ben 3 milioni di soggetti coinvolti e ben 755 milioni di euro di costi per noi, cioè lo Stato. E dunque è vero che non sono state avviate politiche attive, ma solo sussidi.
Quello che non ha funzionato è prima di tutto l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, che a oggi segna il passo con ben 750 mila persone che “sembra” aspettino una nuova occupazione. L’inerzia dei Centri per l’impiego, i cosiddetti navigator, e il malfunzionamento di Anpal hanno fallito clamorosamente la promessa del Governo Conte 2 di sconfiggere la povertà e la disoccupazione. E per fortuna che la Guardia di finanza ha scoperto un numero enorme di percettori fasulli, a cui è stato tolto il sussidio.
Le persone collocate al lavoro anche a causa della pandemia sono state pochissime e adesso si sta mettendo a punto un progetto di sinergia pubblico/privato, prevedendo una collaborazione con le agenzie di collocamento, una banca dati nazionale comune di incontro domanda-offerta, la riqualificazione professionale. E si sta lavorando perché il Rdc vada alle famiglie numerose, poiché i dati ci dicono che il sussidio lo hanno ricevuto 610.683 famiglie composte da una sola persona (il 44%), mentre le famiglie numerose sono solo 106.783, dunque soltanto il 7%.
Bisogna cambiare i criteri e diversificare gli importi a seconda delle aree del Paese, legandoli ovviamente all’Isee e al carovita, alla presenza di minori e dopo accertamenti più stringenti per evitare le truffe. Insomma, far arrivare i soldi a chi ne ha più bisogno e far ripartire i servizi alle famiglie.
I sussulti e le grida di chi non condivide la linea ragionevole del pass sanitario per i dipendenti pubblici, il personale della scuola e della sanità e la posizione autorevole del Rappresentante delle Università per annientare, con parole forti e chiare, i manifesti dei ridicoli dissidenti accademici, accompagnati da una Confindustria granitica sulla tutela della salute e sicurezza di tutti i lavoratori per evitare chiusure, quando la ripresa sta dando timidissimi segni di risveglio, aiutano Draghi a tenere la barra del comando ferma. Lui governa, i partiti (o pseudo tali) rumoreggiano molestamente.
Le priorità? Pandemia, investire bene e subito le risorse europee con buonsenso e senza sprechi, organizzare gli appuntamenti economici e il G-20, tenere il timone del semestre bianco, dialogare con i grandi della Terra sulle alleanze e per quali obiettivi. Nonostante le bizze insopportabili di chi pensa solo ai voti elettorali o di chi ha la presunzione di dettare legge sulle modalità di lavoro come lo smart working, che va sicuramente migliorato ma non abolito, pensando anche ad allargare lo sguardo ai lavoratori disabili, che ne possono usufruire, e a una Pa inclusiva, che desidera più che mai essere al servizio dei cittadini, sfoltendo quelle burocrazie barocche che la perseguitano.
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