Il mese scorso è stato registrato il Decreto ministeriale con il quale viene adottato il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali

Il 5 maggio scorso è stato registrato dalla Corte dei Conti il Decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze del 2 aprile 2025, con il quale viene adottato il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali per il triennio 2024-2026. Significa che finalmente siamo in grado di conoscere l’atto di programmazione del Fondo nazionale per le politiche sociali e individuare, nel limite delle risorse disponibili, lo sviluppo degli interventi e dei servizi necessari per la progressiva definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali da garantire su tutto il territorio nazionale.



Analogamente, il Piano nazionale per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà 2024-2026 riguarda risorse afferenti al Fondo povertà e individua servizi rivolti ai beneficiari dell’Assegno di inclusione necessari all’attuazione della misura come livello essenziale delle prestazioni sociali, estesi a nuclei familiari in simili condizioni di disagio economico, e gli interventi e servizi in favore di persone in condizione di povertà estrema e senza dimora, in coerenza con le Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia.



Il decreto prevede anche il riparto a valere sul Fondo nazionale politiche sociali di 1.192.551.943 euro e sul Fondo povertà di 1.812.798.310 euro, per un totale nel triennio di circa 3 miliardi di euro (3.005.350.253).

L’approvazione del Piano realizza anche il Quadro politico strategico nazionale per l’inclusione sociale e la riduzione della povertà nell’ambito dell’Obiettivo strategico “Un’Europa più sociale” attraverso l’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali di cui all’Accordo di partenariato 2021-2027.

Del Piano convince soprattutto il lavoro di analisi che è stato fatto: come dice il titolo di un paragrafo è “un’analisi fondata su basi di conoscenza”. Nelle azioni tratteggiate c’è continuità rispetto al piano precedente. Si prosegue nella direzione della definizione e attuazione di livelli essenziali delle prestazioni che sono garanzia dell’esigibilità di un diritto.



Bisogna capire rispetto al monitoraggio del Piano scorso, non solo l’ammontare di risorse investite ma anche i risultati raggiunti e le difficoltà emerse, per esempio quelle riscontrate in tanti territori per dare attuazione al Leps della residenza anagrafica fittizia per i senza dimora. Dobbiamo riconoscere che ci sono dati inediti, sono anche indicate alcune piste di lavoro interessanti, che qualora andassero a compimento avviano di fatto un processo strutturale vero.

I Piani in realtà sono due, il Piano sociale nazionale e il Piano nazionale degli interventi di contrasto alla povertà. Per il primo, le priorità indicate dal Piano sono articolate su tre assi: azioni di sistema (con il rafforzamento dei Punti unici di accesso; lo sviluppo delle équipe multiprofessionali per una presa in carico multidisciplinare; la cartella sociale informatizzata); gli interventi rivolti alle persone di minore età (con la previsione di destinare il 50% delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali agli interventi per le persone di minore età); i servizi e gli interventi connessi all’implementazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (Pippi, potenziamento degli interventi di sostegno alla genitorialità in situazione di vulnerabilità, dimissioni protette).

Assegno di inclusione e Supporto alla formazione e lavoro non stanno rispondendo adeguatamente a una domanda così alta di persone in difficoltà: la platea intercettata è la metà di del Reddito di cittadinanza. Buona parte del Piano si fonda sulle risorse del Pnrr, che finiranno: continuiamo ad affrontare le emergenze ordinarie con delle risorse straordinarie, e questa è una debolezza.

Un secondo tema è la tanto auspicata saldatura tra la dimensione sociale e quella sanitaria, che ancora manca: si sperava in un passaggio in più su questo. Abbiamo poi un problema sui minori: non c’è nulla sul sistema dell’accoglienza residenziale per i minorenni fuori famiglia, si dice solo che le Regioni dovrebbero ratificare le linee di indirizzo. C’è la volontà di introdurre questo nuovo Leps sull’affido ed è positivo, ma è ideologico pensare che tutto il tema possa essere risolto dall’affido: non basta e a volte comunque la comunità è la risposta più appropriata.

Appare sbagliato escludere completamente questo dal pensiero complessivo sulle politiche per l’infanzia, infatti l’intenzione di introdurre un nuovo Leps sull’affido prevede la costituzione di un servizio di affidamento familiare/centro affido dedicato in ogni ATS, dimensionato sulla base del fabbisogno territoriale.

Noi vigiliamo come sempre.

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