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Home » Trasporti e Mobilità » PONTE SULLO STRETTO/ Il monito del vecchio Sempione ai “sabotatori” che ignorano la nostra storia

  • Trasporti e Mobilità
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PONTE SULLO STRETTO/ Il monito del vecchio Sempione ai “sabotatori” che ignorano la nostra storia

È impossibile pensare che il ponte sullo Stretto non si possa realizzare o non valga la pena farlo. Basta guardare anche alla vicenda del traforo del Sempione

Marco Zacchera
Pubblicato 5 Aprile 2024
ponte sullo Stretto di Messina

Un rendering del ponte sullo Stretto (Ansa)

Se ne parla da decenni, ma nonostante gli annunci, i rinvii e le continue e consolidate polemiche il ponte sullo Stretto di Messina sembra ancora di là da venire, sommerso dai dubbi, dalle incertezze, dai “non ci riusciremo mai” e dai predicatori di cattive notizie.

La realtà è che il nostro Paese sembra non credere più a nulla, soprattutto a se stesso. Quando leggo le polemiche pro o contro Salvini e chi lo sostiene per quest’opera penso al 13 agosto 1898. Quel giorno a Iselle di Trasquera, un paesino sopra Domodossola, brillarono le prime mine per il traforo del Sempione.


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Era un avvenimento locale, ma a quel progetto non ci credeva quasi nessuno salvo chi aveva pensato, progettato, finanziato e voluto un’opera tanto colossale. Si chiamavano Alfred Brandt e Karl Brandau, gli ingegneri che dai due versanti avevano dato il via ai lavori per un progetto incredibile per quei tempi (come fu per la strada costruita da Napoleone cento anni prima): un tunnel di quasi 20 chilometri capace di forare le Alpi con una galleria che fino ad allora non era mai stata neppure concepita e che rimase per 76 anni il record del mondo, superata negli anni ’80 da una galleria giapponese sottomarina.


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Furono impegnati sui versanti italiano e svizzero decine di migliaia di operai venuti da tutte le regioni italiane. Minatori sardi e toscani, contadini che non avevano mai tenuto un piccone in mano, disoccupati, analfabeti e tanti ragazzi. Solo nelle trincee del Carso ritroveremo fianco a fianco uomini così diversi, ma fusi per un progetto impensabile che sotto i loro occhi diventava realtà.

“Rimarranno schiacciati dal peso di oltre 3.500 metri di roccia sovrastante, saranno strappati via dalle correnti calde del sottosuolo e comunque non si può lavorare a 55 gradi!”. Rileggendo i giornali del tempo tutto sembrava impossibile e invece, neppure sette anni dopo, tutto era compiuto.


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Alla fine i calcoli manuali dello scavo (e non c’erano i GPS, computer e i satelliti di oggi!) risultarono perfetti: le due gallerie si ritrovarono esattamente a metà strada, dopo 10 chilometri di buio, con uno scartamento di soli sette centimetri e, su circa 15.000 operai impegnati nei lavori, ne morirono solo 42, un niente rispetto ai 200 del traforo del Gottardo di anni prima.

Ci furono inondazioni, incendi, scoppi, epidemie, ma si corse sempre ai ripari organizzando anche migliori condizioni di vita degli operai che ogni giorno avevano abiti puliti, toilette semoventi e aspiratori per ridurre la temperatura che superò anche i 56 gradi centigradi. Nacque anche un paese, Balmalonesca, per ospitare migliaia di operai e le loro famiglie, un paese “vero” con case, osterie, la scuola, una chiesa (anzi, due, c’era anche quella evangelica) e perfino il parroco, Don Antonio Vandoni, che fu una delle 42 vittime finendo trascinato via dalle acque in piena del torrente Divedra.

Tutto ciò per sottolineare che quando un’ opera è davvero voluta si riesce sempre a conquistarla e se per il Sempione furono allora la “piccola” Svizzera e la “povera” Italia fresca di unità (e al tempo non esistevano consorzi e fondi multinazionali, Bce, Pnrr e holding, ma solo fondi privati e buoni del Tesoro) anche a Messina si arriverà alla fine. Il ponte sullo Stretto non sarà solo un’opera storica, ma soprattutto utile, necessaria se si vuole finalmente collegare la Sicilia all’Europa, se ci consideriamo una nazione davvero degna di stare nel G7. Per carità, so benissimo che la Salerno-Reggio Calabria più a nord è un colabrodo, che ci sono altri mille problemi logistici e strettoie, ma almeno risolviamone uno (il principale) e forse sarà allora più facile risolvere gli altri.

Fermare adesso il ponte sullo Stretto sarebbe ridicolo, anche perché significherebbe ignorare il mondo. Scrivo questo pezzo da Dubai, dove trent’anni fa c’era solo sabbia e oggi il Burj Khalifa è il grattacielo più alto del mondo. È indigesto agli ecologisti e opera faraonica e inutile? Sta di fatto che l’anno scorso la città più visitata al mondo da turisti stranieri non è stata più Parigi ma proprio Dubai e – se qualche simpatico cugino d’oltralpe avanza dei dubbi – i trend di crescita sono chiari e Dubai lo sarà sicuramente quest’anno.

Ma d’altronde chi andrebbe a raccontare agli abitanti di Copenaghen di chiudere il ponte con Malmoe perché non serve, o a quelli di Istanbul che i Dardanelli si dovrebbero ancora attraversare in traghetto? Ormai Europa e Asia sono connessi sul Bosforo senza problemi, così come decine di isole nel mondo. Anche considerando solo i ponti a campata unica (a più campate il ponte più lungo è quello di 165 chilometri costruito per l’alta velocità Pechino-Shangai) costruire il ponte sullo Stretto tra Calabria e Sicilia è nell’ordine delle cose e non ditemi che in Turchia, in Giappone o in Cina non ci siano tsunami e terremoti!

Per fare il ponte sullo Stretto serve coraggio, orgoglio, volontà: per una volta vogliamo crederci ed essere “avanti”?

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Tags: Matteo Salvini

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