La Cei ha espresso delusione per la scelta del Governo di modificare finalità e modalità di attribuzione dell’8 x mille. Tema controverso e politico
La polemica accesa dalla Cei sulla destinazione dell’8 per mille va registrata anzitutto come ritorno attivo dell’episcopato italiano sulla scena politica nazionale. E questo matura un mese dopo l’elezione di Papa Leone XIV, anche sull’annuncio di una rinnovata attenzione sociale della Chiesa. È un passaggio indubbiamente ricco di stimoli per l’osservazione giornalistica a caldo, in attesa che gli sviluppi e i commenti degli specialisti ne chiariscano la portata.
La Cei decide di ripartire – in termini problematici – dai rapporti fra Chiesa, cattolicesimo e Stato, anche se il punto di caduta della polemica è una questione prettamente sociale come il dilagare della tossicodipendenza.
Nel loro schema di lettura e di azione, i vescovi italiani paiono mettere a tema prioritario il Governo del Paese. Sarebbe la massima cabina di regia il luogo in cui cercare la causa ultima di molte crisi individuali e sociali ed è il Governo che va anzitutto sollecitato – “educato” – negli sforzi di superamento di quelle crisi, evidentemente attraverso corrette politiche pubbliche. È una cornice in cui sembra risaltare anzitutto la dimensione politica nella vita del Paese e risuonare il richiamo della “scuola di Bologna”, fondativa del “cattolicesimo democratico” italiano.
La Cei polemizza, in concreto, con un governo di destra-centro, forse oggi il principale in un’Europa ormai quasi interamente governata da forze moderate e conservatrici, anche a Bruxelles (una prima replica del governo Meloni ha obiettato che la sterzata su 8 per mille e tossicodipendenti oggi criticata dalla Cei risale in realtà all’esecutivo Conte 2, a maggioranza M5s-Pd; un segmento di un decennio abbondante di predominio del centrosinistra nel governo del Paese).
La Cei sceglie di porre al centro del tavolo – alla sua prima mossa di una nuova stagione di presenza pubblica – un dossier squisitamente economico-finanziario: da un lato, figlio ecclesiologico di un regime concordatario; dall’altro, espressione di una svolta costituzionale del fisco italiano in direzione della sussidiarietà. Comunque: il nocciolo di una delle questioni sociali contemporanee viene declinata in chiave fiscale.
La Cei giudica prioritaria una riflessione sul modo in cui il governo utilizza i soldi dei contribuenti (in filigrana: per il riarmo o per i cittadini più deboli?) e la misura in cui la Chiesa cattolica possa essere un intermediario efficiente ed efficace per i flussi di finanza pubblica sussidiaria.
Questo avviene in una cornice complessa: quella di una Ue che si interroga sul come e perché allentare i tradizionali parametri di stabilità finanziaria dell’euro; ma anche quella di una crisi oggettiva del welfare pubblico, non solo italiano (dalla scuola alla sanità, fino all’assistenza alla “terza-quarta età”).
È anche su questo sfondo che la Cei sembra enfatizzare il ruolo del cattolicesimo nazionale come “Ong” interna, puntando il dito sullo stato della più ampia politica sociale in Italia, in cui può essere implicitamente ricompresa anche quella di accoglienza dei migranti.
Non da ultimo: la Cei ha ritrovato visibilità pubblica non solo dopo l’elezione di un nuovo Papa (che il 17 giugno riceverà per la prima volta i vescovi italiani), ma anche dopo la recente e problematica “non-conclusione” del Sinodo della Chiesa italiana. Lo scorso aprile la seconda assemblea – rappresentativa di tutte le voci e forze del cattolicesimo nazionale – non ha approvato il testo delle proposizioni finali, che ora sarà riformulato e riesaminato nel prossimo ottobre.
Forse non è inutile rammentare che le critiche al testo – soprattutto da parte dei delegati del laicato – hanno toccato per lo più questioni interne (pastorali) alla Chiesa nazionale, come l’apertura ai fedeli LGBTQR+, il ruolo delle donne e in generale la “trasparenza” nella Chiesa, a cominciare dai processi canonici.
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